Psichedelia e Caribbean Power: il sound dei Bomba Estereo esplode a Milano<br> <small> by Francesco Ferri</small>


Hanno fatto saltare e gridare, emozionare e viaggiare.
I Bomba Estereo, gruppo colombiano di cumbia elettronica e di avanguardia, ormai hanno una confidenza tale con il palco che permette loro di sperimentare nuovi progetti ad ogni nuova uscita.
Il loro Jungla Tour, iniziato a fine maggio in Messico, li porterà sui palchi di tutto il mondo per un giro di quasi tre mesi.
La dimensione tropicale è fortemente presente nello show, così come nei loro pezzi.
Si mischiano strumenti della tradizione musicale latina, come il güiro, con i sintetizzatori per gli effetti minimalisti. Poi flauti e tamburi per una fiesta de locos
I testi sono dolci e allo stesso tempo decisi. Il carisma di Liliana Saumet, la frontwoman, non nasconde il vero protagonismo del sound che accompagna la sua peculiare voce.
Coloratissimi, hanno spinto coi pezzi dell’ultimo album Ayo, ma non si sono dimenticati delle origini: si è gridato con Fuego, ci si è emozionati con Pajaros e si ha saltato con Caribbean Power.
Al Santeria Social Club hanno aperto le danze Mr. Island e i Cacao Mental dell’istituto italiano di cumbia, giusto per entrare in clima equatoriale scaldando una già poco fresca Milano.
La loro genuinità e ricchezza di spirito hanno reso anche questa volta il loro spettacolo un’emozione vera e palpabile. 
É l’ennesima conferma che oltre in studio di registrazione, anche dal vivo questo gruppo non delude mai.

by Francesco Ferri



La cupa umanità di Caina, la favola nera raccontata da Stefano Amatucci <br><small> by Margot Frank</small>


Non so quali siano i colori dell’aberrazione umana. Stefano Amatucci tinge di un blu livido la sua straziante favola nera, Caina. Un racconto intenso e senza pietà dell’umanità che potremmo diventare, o forse già siamo, in un futuro crudo e surreale. Caina è una Luisa Amatucci, interprete straordinaria, che di mestiere fa la trovacadaveri. Sì, avete letto bene: raccoglie i morti che quotidianamente regala il mare e li vende ad una ditta autorizzata per farne calcestruzzo. Certo: perchè in questo mondo distopico, lordo di mare e di morte, senza i morti, senza i miserabili affogati per la precisione, non è possibile costruire. Lo sa bene l’arcigna vecchiaccia che dirige questo mattatoio di calce e di sangue, un’impagabile Isa Danieli, e che contratta su ogni pezzo, fra malcostume e presunta legalità. Stefano Amatucci spalanca, con questo film, le porte sull’orrore. Un orrore in cui, badate bene, non ci sono vincitori o vinti. In cui tutti sono in fondo drammaticamente disumani e feroci. Tranne i morti, ovviamente. In cui non esistono stereotipi buonisti, come si direbbe oggigiorno. In cui ad essere scoperchiata è la nostra perdita di umanità. A salvarsi sono, forse, il povero Parroco di paese, che non sa più come insegnare la pietà. E i morti, appunto. E a salvarsi è il valore, straordinario, dell’interpretazione dei suoi protagonisti. Tutti assolutamente e inequivocabilmente bravi: da Luisa Amatucci che ben rappresenta la Caina che è in ciascuno di noi; a Isa Danieli, grande nella sua raffinata teatralità, al franco-tunisino Helmi Dridi sempre autentico in ogni sua battuta, a Gianluca Sauro che ben racconta la pur tenera umanità che è dentro anche nel personaggio più cupo. Come diceva qualcuno, anche gli uomini persi un tempo sono stati bambini. Un film che sa piacere, senza piaggeria, a tutti coloro che vogliono scoperchiare la pentola di quell’importazione devastante di carne umana a cui tutti stiamo assistendo. Un film politico nel senso antico del greco polis. Nemmeno per un attimo e in nessun suo fotogramma partitico: perché parla di uomini e di storie e non offre interpretazioni o soluzioni. Quelle saranno, a Dio piacendo, della politica. Quando smetterà di litigare e si ricorderà dell’umanità.

by Margot Frank

Ricordando<br> i Fratelli del<br> Segno dello Zodiaco<br><small> by Maurizia Vaglio</small>



Un diario minimo, un racconto in qualche modo persino intimo. Fresco e spontaneo come il diario di un adolescente. Questo libro non finge nemmeno di essere la seriosa biografia elegiaca di un gruppo che raggiunse una certa, meritata fama tra gli anni '60 e '70. Si diverte invece a rimbalzare tra argomenti, aneddoti e ricordi, che emergono abbastanza alla rinfusa, attraverso la "voce narrante" di Gianni, uno dei tre fratelli Borra (Luigi, Luciano e appunto Gianni) che furono e rimasero il nucleo della band Il Segno dello Zodiaco sin da quando, non a caso, questa era soprannominata "I Fratelli". Dagli esordi alle preziose occasioni colte, dalle ispirazioni musicali alle scelte professionali sbagliate, dagli incontri prestigiosi e sorprendenti alle serate un po' folli. Tutto shakerato con lo spirito avventuroso ed impulsivo di quei tempi così diversi da quelli odierni. Un racconto frizzante e divertente, si diceva, volutamente lasciato correre a briglia sciolta da Giorgio Pezzana, colui che ha raccolto le testimonianze e "ricucito" insieme questo volumetto. Che va via rapido, emozionante e colorato come le estati di chi ricorda quegli anni, e le canzoni che ne costituivano la colonna sonora. Pezzi sentimentali e neoromantici a far da sottofondo a baci appiccicaticci ed amori tanto brufolosi quanto passionali. A tenerezze e piccole, quasi innocenti follie di un tempo acerbo che prometteva moltissimo e che però, a ben vedere, ha mantenuto ben poche di quelle promesse. 

Maurizia Vaglio


La Festa del Cinema Bulgaro: tra filosofia, emozioni e un particolarissimo <i>sense of humor </i><br><small> by Margot Frank</small>


Lo abbiamo scoperto quando ancora faceva fatica a far parlare di sé. Lo abbiamo visto crescere, maturare. Ora lo stiamo vedendo spiccare il volo. Parliamo della Festa del Cinema Bulgaro di cui in questi giorni si è appena chiusa l’11a edizione romana. Ed è pronta la nave per salpare verso la seconda edizione milanese. Ad organizzarle l’Istituto Bulgaro di Cultura con la direzione artistica di Jana Yakovleva e il coordinamento di Borislava Chakrinova. Poche serate, quattro in tutto (dal 28 giugno al 1° luglio alla Casa del Cinema di Roma), dedicate ovviamente a raccontare il meglio del cinema bulgaro: i fiori all’occhiello di una cultura cinematografica, va detto, di assoluta eccellenza. Bisognerebbe poi coniare un termine per definire il filo rosso che lega questi film, ovvero il particolarissimo sense of humor bulgaro, un’autentica scoperta che è un mix surreale di arguzia e gusto del paradosso che si può riassumere in una battuta del film Directions dove un taxista spiega: “...qui in Bulgaria siamo tutti ottimisti perché i pessimisti ed i realisti se ne sono già andati da un pezzo!”.

Otto in totale i film in programmazione: dal colossal storico di Victor Bozhinov Elevazione, al dramma sempre storico di Voevoda per la regia di Zornitsa Sofiya Popgancheva. Dalla deliziosa commedia riflessiva con Knockout di Niki Iliev, al musical con Attrazione di Martin Makariev. Dal film omnibus, 8 minuti e 19 secondi, tratto da sei racconti del grande Gospodinov, al corto di animazione di Theodore Ushev Vasya la cieca.

Per finire ad un titolo che sta facendo parlare di sé la cinematografia bulgara: Directions di Komandarev, presentato a Cannes nella sezione A certain regard. Una scelta completa e raffinata che ha saputo valorizzare un cinema che sa dare spazio a tutti - registi, attori e autori - spesso mescolandoli con passione, ironia, sempre con intelligenza.


E così, fra il lunghi piani sequenza di
Directions, alternativamente si ride e ci si commuove senza alcuno spazio alla retorica dei facili sentimentalismi. E anche se lo spirito generale del film è sempre da pugno nello stomaco, sboccia un finale di grande speranza e tenerezza.



Si sorride anche in Elevazione, mentre si racconta una storia lontana, quella dell’indipendenza della Bulgaria, eppure straordinariamente universale e vicina a noi.
Mentre si parla di filosofia e dei grandi valori della cultura e del pensiero nazionale. Ottimi, infine, i sottotitoli che hanno accompagnato la comprensione di tutti i film: un dato non poco importante.


By Margot Frank
Un metodo di respirazione: Virginia Menegazzi ci lascia senza fiato<br><small> by Francesco Ferri</small>


Quando ho ascoltato le prime note di Cosmo ho capito che non avrei avuto a che fare con un pop da cantautrice come tutti gli altri. Poi, quando le parole sono entrate in azione ne ho avuto la conferma.
Virginia Menegazzi ha una voce poliedrica, capace sia di condurre con forza una traccia rock che di accompagnare dolcemente pianoforte e violini per un’energica esplosione di emozionalità.
Il suo EP, Un metodo di respirazione da l titolo di una delle trace, anticipa il disco La fata dei denti e altre storie in uscita il prossimo autunno.

Toni decisi, quindi, e un vero talento. La prima volta che ho ascoltato Virginia era alla Fiera Internazionale della Musica di Milano lo scorso mese: una performance piena di  carisma e dolcezza. Con una grande abilità: quella di far ruotare più strumenti attorno alla sua tonalità di voce. Abilità per nulla scontata.
Completano questo EP Profondo Nord ed Attraverso lo specchio per dare conferma al sentimento espresso dai primi due pezzi.
Per i più curiosi, potete dare un ascolto al sul suo profilo SoundCloud: ne vale la pena.

Auguriamo a Virginia un futuro musicale roseo.

by Francesco Ferri

Enzo D’Andrea:<br> Ti racconterò i tuoi sentimenti più profondi<br><small> by Margot Frank</small>


Esistono anime delicate e forse un po’ perse che dovremmo avere l’intelligenza e la sensibilità di fermarci ad ascoltare. Non per altro: perchè soffermarsi sui loro pensieri e le loro note sa stimolare le pieghe della nostra anima. So benissimo che è un approccio romantico alla musica: ma quando ci vuole….
Quando un ufficio stampa solerte e insistente (perdonami!!!) mi ha proposto l’ascolto di questo album, Ti racconterò, di un ignoto Enzo D’Andrea ero piuttosto scettica, lo ammetto. Diciamo che la copertina non mi aveva colpita particolarmente. Considerazione banale quanto semplice.
Ma dal momento che un ascolto attento e professionale non si deve negare a nessuno, un bel giorno ho inserito questo cd fra le fauci del mio stereo. Lui ha fatto Glom e dalle casse ha iniziato a diffondersi una bella musica. Fin qui… Mi sono fermata, mi sono seduta ad ascoltare: in silenzio. A farmi cullare dai pensieri tristi e pieni di sentimento di questo musicista. Una cosa dolce. Con me si è fermata anche la mia collaboratrice. Così: immobili in un gesto d’altri tempi, quello dell’ascolto. Perchè questo album, che ha radici lontane, lontanissime, è lo specchio, sensibile e personale, della storia della musica cantautorale che ha accompagnato la mia vita da sempre. Non un progetto quindi rivoluzionario, anzi. Ma autentico e autenticamente poetico. Quest’uomo, scoperto da un personaggio come Claudio Poggi che tanti anni addietro aveva scoperto niente po’ po’ di meno che Pino Daniele, arrangiato dal forbito pentagramma di Enzo Guarino, ha il dono del romanticismo e di un melodiare sincero, della tristezza e del pensiero profondo.
Un album fuori moda, come recita il comunicato stampa. Che bella cosa!!!


by Margot Frank
Tanto rock, sport e il suo ricordo: è l’undicesima edizione del torneo Amici di Lele<by><small> Francesco Ferri</small>


Ci sono vicende che nascono in piccoli luoghi, ma hanno in sé un portato universale. Diventano Icona e lasciano un segno potente.
Al quartiere Casoretto di Milano, lo stesso che diede i natali a personaggi come Iaio e Fausto, undici anni fa, un ragazzo effervescente decise di compiere un viaggio infinito: lui era Emanuele, detto Lele. Per ricordare questo viaggio e quella bella persona ogni anno i ragazzi si ritrovano per ricordarlo e per pensare a lui, alla sua storia.
Ed è così che il weekend ha riunito adulti, ragazzi e bambini che gli volevano bene.
Sul palco dell’oratorio della chiesa di Santa Maria Bianca della Misericordia si sono esibiti gruppi che gridano a gran voce quasi a volersi far sentire da lassù. E che sono po' l'emblema delle nostre passioni e della nostra memoria.
I primi sono stati gli Amplifire, che si sono lanciati con il loro repertorio, poi il testimone è passato agli Still Around, che ci hanno fatto ballare e saltare con le cover dei pezzi dei Police, ed infine hanno chiuso i Roger Side of the Floyd con delle versioni adattate del gruppo inglese.
La musica ha fatto da cornice ai momenti di svago e di riflessione, dove sono stati presentati anche i progetti culturali e sociali dell’Associazione Giovani nel Mondo, creata assieme ai fantastici ragazzi del Casoretto Football Clan per aiutare i bambini del terzo mondo ad avere accesso all’educazione.
Per la cronaca, il torneo di calcio è stato vinto da noi outsider Clan 05, dati per perdenti ancora prima dell’inizio dei gironi.
Ho voluto ricordare questo momento di musica e di allegria perché è un altro appuntamento dove musica, coesione e progetti sociali hanno vinto, nel ricordo di un giovane sicuramente molto amato. Guardando avanti: ai tanti ragazzi come lui.
Lele forever young

by Francesco Ferri
Concerti, interviste e tanta energia: ed è FIM 2018<br><small> by Francesco Ferri</small>


Sono stati quattro giorni di festa e allegria quelli della Fiera Internazionale della Musica che si è svolta dal 31 maggio al 3 giugno in Piazza Città di Lombardia a Milano. Tra workshop e stand di ogni genere, si sono mescolati spettacoli di artisti veramente multiformi che hanno regalato alla città di Milano, giovani e famiglie, un weekend dai molti colori musicali.

I tre palchi principali della Fiera hanno fatto da cornice all’evento: Casa FIM, con interviste ad artisti ed ospiti, FIM Social, con le esibizioni live ed in streaming ed i seminari a tema, ed il FIM Theater, lo spazio per i concerti più energici. 

Veramente tanti, tanti artisti di varia notorietà, tutti generalmente di grande qualità. Ne abbiamo voluti segnalare alcuni, quelli che ci hanno impressionato di più. Senza nulla togliere a tutti gli altri, ovviamente. Sul FIM Theater la talentuosa solista Virginia Menegazzi ha affascinato il pubblico con il suo piano, prima di dare spazio al rock gotico degli Elysium, a quello deciso e passionale dei Desert Wizard, al progressivo dei Plurima Mundi e agli stravaganti APNB. Sul palco social, si sono avvicendati gli artisti promossi da l’AltopArlAnte: ZuiN, le dolci voci di Giulia Pratelli, Rita Zingariello e Gloria Zaccaria ed infine l’energia della rock band dei The Lizards’ Invasion con il loro sound coinvolgente, divertente e uno stile decisamente trasversale e crossover che supera il concetto di rock puro.

Tra gli special guests presenti abbiamo potuto incrociare Omar Pedrini, Mirkoeilcane, Fabrizio Poggi e Maria Fausta.

E poi, a spasso fra i chioschi, incontri con artigiani della musica, laboratori e scuole, radio e tv locali. Un’occasione, per uno come me che si affaccia professionalmente in questo mondo, per interagire, per scambiare chiacchiere e per farsi un’idea su come promuovere questo tipo di eventi nell’era 3.0. Con il desiderio di regalare nuova visibilità ad un segmento della musica e della cultura che stenta a farsi sentire, ma che ancora ha tanto da regalarci.

Tra un concerto e l’altro sono stati consegnati i premi dei contest indetti dall’organizzazione della Fiera. Il Premio Autori Emergenti è andato al piemontese Massimo Bertinieri, in arte STONA, con il suo brano Troppo Pigro; il VideoClip Italia Contest se l’è aggiudicato Kreuzberg degli Stanley Rubik, mentre si dividono il Rock Contest DIANIME, Opra Mediterranea e Keplero.

Non posso non fare un cenno ad altri artisti che mi hanno colpito: come la Fabi's Blues Band con il loro blues elettrizzante, Mike Messina e la sua voce di influenza battiatana, le corde decide dei Prowlers, le magiche note della Piseri Ensemble ed il sound progressivo e metal degli Hamnesia.

Non ci manca, come redazione ma anche personalmente cone Francesco, di ringraziare il Fim, la loro bella organizzazione. Ci auguriamo di rincontrarci l’anno prossimo e l’anno prossimo ancora. Per incontrare ancora nuovi artisti di talento e sognare un’educazione alla cultura e alla musica calate nella nostra quotidianità.


by Francesco Ferri
La colta<br> spettacolarità di<br> Discover Bulgaria<br><small> by Margot Frank</small>


Spettacolarità uguale ad intrattenimento. Spesso ma non sempre. E’ il caso di Discover Bulgaria, l’evento che ha inondato di ritmi musica e luce niente po’ po’ di meno che il Campidoglio di Roma per festeggiare la Presidenza Bulgara del Consiglio dell’Unione Europea. Un vero e proprio inno al valore della cultura come strumento di dialogo fra i popoli, oltre la politica. Un proclama già ampiamente presente nelle dichiarazioni degli scorsi giorni dell’Ambasciatore Marin Raykov (si veda in merito il bel contributo di Giorgio Pezzana), che gli spettatori hanno potuto toccare con gli occhi, la pelle e le orecchie in occasione della serata del 28 maggio a Roma. Molto raffinato il lavoro coreografico del gruppo folklorico dei Chinary che, fra danza e tamburi, hanno ripercorso la grande storia della tradizione culturale delle origini della Bulgaria. Quella cultura che, partendo dalla storia dei Traci, ha saputo trasmettere alle popolazioni slave orientali, grazie all’invenzione della scrittura cirillica, il cristianesimo. Perché questo popolo, quello bulgaro, che ha mutuato la propria ricca cultura dall’incontro fra la tradizione dei Romani, dei Traci e dei popoli slavi, è la prova vivente di come l’identità sia il magico frutto dell’incontro, della scoperta. Di uno sguardo curioso e disponibile. Sempre suggestivo il suono del Kaval nell’interpretazione di Kostadin Genchev.
Un racconto filtrato anche attraverso le immagini veramente spettacolari a firma del MP Studio di Sofia che ha disegnato sul Palazzo Senatorio del Campidoglio le tracce principali di questa storia. Emozione folgorante di un videomapping veramente accurato e visivamente coraggioso che si è lasciato nutrire delle splendide musiche di Peter Dundakov e del suo nuovo album BooCheMishin cui ha magicamente intrecciato i suggestivi suoni del Mistero delle Voci Bulgare e la voce di Lisa Gerrard che i più conosceranno per l’interpretazione della colonna sonora de Il Gladiatore di Hans Zimmer.
Ci sembra giusto ricordare che l’evento era realizzato dall’Ambasciata di Bulgaria a Roma e dall’Istituto Bulgaro di Cultura con il supporto della Fondazione Plovdiv 2019 (che insieme a Matera sarà nel 2019 Capitale europea della cultura). E grazie anche al prezioso contributo di Unicredit Bulbank.
Accentrare le periferie: cultura e coesione sociale al Tedx del Politecnico<br><small> by Francesco Ferri</small>


Diciamocela tutta: il nuovo cool è la periferia. I nuovi centri di ritrovo, coworking ed artisti emergenti pullulano nei confini urbani. Ed è proprio per questo che mi incuriosivano molto le Conferenze del Tedx del Politecnico e ho deciso di andare ad ascoltarle.

Anche perché il focus della discussione era la ridiscussione delle le priorità dell’amministrazione comunale, in quanto a politiche sociali per la coesione cittadina. E, vivendo a Milano, essendo, magari per poco, ancora un under 30, volevo capirci qualcosa. Tuffarmi nelle domande, cercar di percorrere le risposte. Chissà che questa discussione possa essere un ragionamento utile anche ad altre Città, ad altre Periferie… Sta a voi valutarlo!

Ha senso, per esempio, parlare delle scuole di quartiere come “nuovi hub per le iniziative culturali”, come dice Gabriele Pasqui, delegato alle politiche sociali del Politecnico. Sì, quando si vuole pensare a soluzioni alla portata di mano per poter riconnettere e dare un’identità alle mura cittadine. La partecipazione attiva crea e riqualifica i punti di ritrovo, pensiamo ai vari Mare Culturale Urbano, al Centro Culturale Cascina e le social streets come NoLo o il Quartiere Bovisa. E questo è senza dubbio un interessante punto di partenza.

Fra gli interventi immancabile quello dell’Assessore alle politiche del lavoro del Comune di Milano, Cristina Tajani, che ha centrato la sua riflessione sulla storica identificazione dei quartieri periferici come i rifugi degli operai delle catene di montaggio, cercando però di individuare nella digitalizzazione dell’economia una grandissima opportunità di cambiamento e ristrutturazione. Perché? Beh, le nuove generazioni hanno sgomitato per fare buon uso del digitale: dalla sharing economy, il fablab Polifactory della stessa università, i maker spaces che creano nuovo commercio ed attività sociali. Tutto ciò porta ad una riqualificazione che fa risorgere contesti che si credevano impossibili da cambiare. Molto interessante la chiave proposta: allontanarsi dall’idea che rigenerazione sia uguale alla costruzione dei grandi centri commerciali. E’ stata rimessa a nuovo l’ex Ansaldo ed è stato creato il BASE di via Tortona. Entrambi oggi rappresentano l’incredibile successo di questa formula di recupero per fini culturali. Vengono organizzate mostre, eventi e spazi di creatività. In effetti è un interessante modello, sicuramente di spessore Europeo. Soprattutto, un modello esportabile.
Ora il nuovo modello emergente e vincente, anche in quanto a sostenibilità economica per l’amministrazione locale, è quello dei mercati comunali coperti (i vari Lorenteggio, Wagner, Morsenchio…), dove lo spazio commerciale si affianca a quello dello street food per favorire l’aggregazione e gli eventi culturali.

Un altro intervento di grande spessore è stato quello del grande autore e regista Elio de Capitani, che si è soffermato sul rapporto tra attori e pubblico nel mondo teatrale. “Le storie importanti sono raccontate nelle periferie della città”, ci dice. Shakespeare metteva a in scena opere che rappresentavano il suo stesso pubblico pieno di pregiudizi, razzista e misogino.
Le periferie potrebbero rappresentare l’oggetto di un tipo di opera d’arte come Angels in America, spettacolo che sottolinea la paura del progresso, del mutamento demografico e del mix delle etnie. Secondo il regista, il teatro in Italia può affermarsi come antidoto per resistere a ciò che sta succedendo nel mondo. Cercare di fermare il progresso o il cambiamento è il paradosso dei nostri giorni, fa parte degli slogan dei partiti più votati e tutto ciò dovrebbe spingerci ad una riflessione profonda.


Ci siamo portati a casa molte riflessioni, forse una conclusione: la periferia deve vivere un nuovo inizio, rappresentando non più il lontano, il degrado, l’abbandonato, ma una vera e propria spinta nuova per la rinascita urbana e la partecipazione cittadina.

by Francesco Ferri

* nella foto Cristina Tajani

Nella Cultura<br> il futuro di<br> un'Era Globale<br><small> by Giorgio Pezzana</small>


La Bulgaria ha scelto Roma, quindi l'Italia, per portare in piazza il suo “Discover Bulgaria”. Non ha scelto Parigi o Berlino. Ma Roma. Riconoscendo in tal modo implicitamente il ruolo culturale che l'Italia riveste in Europa e nel mondo. E questo ci deve inorgoglire. E l'ambasciatore bulgaro Marin Raykov ha voluto interpretare la dimensione culturale come l'unico vero patrimonio capace di parlare alla gente, a prescindere da lingue e nazionalità. Probabilmente ha ragione. E mi riporta alla mente la riflessione di un amico musicista al rientro da un suo tour internazionale allorquando mi disse: la musica può dare vita ad un villaggio globale ove con la musica ci si parla e ci si capisce. In quel villaggio, le emozioni vengono dalla musica, la musica può esprimere speranza o frustrazione, amore o rabbia, ma alla fine è bellissimo, quando gli strumenti tacciono e ci si guarda, scoprire di appartenere a mondi diversi, eppure di avere colto tutti insieme le stesse vibrazioni in quello stesso momento. In senso più ampio, quel villaggio globale può essere rappresentato da una comunità più grande che attraverso le più diverse espressioni può confrontarsi e ritrovarsi. Certo, questi sono o dovrebbero essere i principi filosofici della cultura, quelli che non hanno bandiere o colori, appartenenze o convenienze. Poi, tutti quanti sappiamo che non è così. Ogni giorno ci imbattiamo nella cultura fatta per la politica, o per il denaro o per narcisismi personali fini a loro stessi, che anziché accomunare escludono, che anziché condividere dividono. L'arte contemporanea è spesso la casa di chi non sa fare nulla, ma lo sa fare molto bene. E la gente è confusa e tradita. Perchè la cultura è anche bellezza e la bellezza, quando è tale, viene sempre in qualche modo palesata. E' riconoscibile. Ecco perchè è importante quanto dice l'ambasciatore bulgaro laddove afferma che la cultura può essere lo strumento attraverso il quale la gente può percepire una dimensione europea. Perchè la cultura, quella fatta di bellezza, può accrescere l'orgoglio per le nostre origini, senza chiederci di rinunciare ad esse ma, al contrario, affiancandoci a quelle altrui, può darci la consapevolezza di un'identità e l'arricchimento che deriva dalla conoscenza. Andando a formare una comunità globale che attraverso il volteggio di una ballerina o l'accordo di una chitarra può vivere all'unisono una stessa emozione.

by Giorgio Pezzana
I molteplici ritmi <br>delle<br> Mujeres Creando <br><small> by Marco Buttafuoco</small>



Voce, fisarmonica, violino, chitarra e percussioni; è, più o meno, l’organico di un gruppo di balli popolari. Fa pensare a balere, a feste di paese d’antan. Come molti hanno sottolineato, il fattore principe di questo disco è la sua ricchezza ritmica, la continua varietà di pulsazioni, gli scarti, l’imprevedibilità. Piccoli spostamenti ritmici che raccontano, per usare le parole di Gaber, i piccoli spostamenti del cuore di cui sono tessuti i testi. Un esempio? La seconda traccia, Per sempre e ancora, delicata cronaca degli che precedono la nascita d’un amore che non riesce però a nascere, raccontata da un ritmo trascinante, popolaresco, mediterraneo. 
Anche Ex Valzer è giocato su questa strano mix di ritmi (in questo caso balcanici, o Klezmer) e di sentimenti sfumati, di attese e sospensioni.  Un ballo di piazza per raccontare l’incertezza della vita del cuore. Così Tangorà e Rosaspina (arie di Tango, con quel tanto di melodramma che non guasta mai in una storia d’amore).  
Un’altra prova di questo muoversi fra cultura popolare e racconto di nuovi sentimenti, di nuove stori e femminili è la sesta traccia, Je Parl’E Te. Il testo napoletano e l’andamento melodico del testo dicono del legame che le cinque musiciste hanno con la musica della propria città d’origine, dalla canzone classica a Pino Daniele. La storia, sottolineata da armonie aspre e talora dolenti, racconta un amore fra due donne.  
Particolarmente interessante è anche la riproposizione di Remedios, un vecchio brano di Gabriella Ferri, doveroso omaggio a una delle più grandi artiste italiane. La cantante romana, come le artiste di Mujeres Creando, si muoveva sempre ai confini fra dramma e ironia, fra malinconia e melodramma Più “laterale”, rispetto a questa linea di esplorazione fra poesia e musica popolare, è il sospeso Once more, che immerge l’ascoltatore in un’atmosfera sospesa e inquieta, quasi nebbiosa. Il brano in questione chiude il disco, quasi a indicare una strada diversa per questo ottimo quintetto. 
Davvero un bel disco. 

by Marco Buttafuoco
Cinema 4.0:<br> il profumo del passato in pellicola<br><small> by Margot Frank</small>


In un tempo, il nostro, affogato fra effetti speciali e immagini saturate. In un tempo cioé di emozionalità surfetate e drogate, ogni tanto ci si dimentica del fascino dei colori sbiaditi e della magica bidimensionalità del bianco e nero. Eppure anche questa rete ipercinetica e farraginosa qualche volta ci regala la sosta refrigerante della memoria. E così pullulano i gruppi si Facebook dedicati a raccogliere, da vecchi album di famiglia e scatole polverose, le immagini perdute di città che, nel frattempo, sono mutate e stravolte nei loro lineamenti sostanziali. La realtà è che, consapevoli o meno, tutti noi abbiamo bisogno di radici e di memoria. Ci piace in fondo buttare un occhio al come eravamo, dare un volto e un disegno ai racconti dei padri e dei nonni, cercando di integrare il bianco e nero con il profumo dei cibi e della polvere.
Memorie nostalgiche e preziose che rendono il recupero degli archivi video quanto mai indispensabile. E, mentre molto si è fatto fin’ora per recuperare i grandi capolavori del cinema di ieri e dell’altro ieri, poco si era fatto fin’ora per salvare la memoria a noi più vicina: quella degli archivi di famiglia, ma non solo. Immaginiamo il vasto patrimonio dei primi  documentari scientifici, di quelli che oggi hanno perso luce e colore ma soprattutto attualità. Ma sono testimonianza precisa di un’epoca storica, di ricerche e curiosità che hanno disegnato il tempo attuale. Pensiamo anche a tutti quegli archivi dei servizi televisivi di cronaca di ieri e dell’altro ieri ancora su pellicola. Si tratta della nostra storia. Ebbene questo è il lavoro che un operatore visionario e coraggioso ha deciso di affrontare dall’interno. Si tratta di Tarcisio Basso, patron di Running Tv, che, con il progetto Cinema 4.0, grazie al supporto della Regione Veneto, ha deciso di mettere le mani su tutto un mondo di archivi altrimenti destinati al macero. E così ha costruito in quel del padovano un vero e proprio polo del restauro dell’audiovisivo: chilometri di pellicole da salvare e da restituire ai figli e ai nipoti. E attraverso i quali ricordare e riscoprire un’epoca vicina e pericolosamente lontana.
Diciamo che in un prossimo viaggio ci piacerebbe andare a trovarli e annusare da vicino questi archivi. Con una convinzione: anche il cinema storico ha molto da guadagnare da un recupero così attento della memoria collettiva. Intendo dire che un polo di questo tipo ha la possibilità di compiere un lavoro così curioso e attento del patrimonio culturale e audiovisivo di ieri e dell’altro ieri da poter affrontare con sguardo rinnovato anche la riscoperta di alcune pieghe nascoste del cinema storico.

by Margot Frank

Salvami: biografia di un’anima rock.<br> Persa e ritrovata<br><small> by Alessandro Hellmann</small>


I tipi di Chinaski confermano il loro fiuto per le biografie di musicisti controversi, in bilico tra autodistruzione e salvezza. “Come ho trovato Dio, lasciato i Korn, dato un calcio alle droghe e vissuto per raccontare la mia storia”, recita un esplicito e poco incoraggiante sottotitolo che pare concepito dalla zia di Paolo Brosio, ma, superato questo primo scoglio e i preconcetti del caso, il libro scorre con una certa scioltezza, sul filo di una narrazione di disarmante semplicità, accessibile e a suo modo efficace, che va dritta al sodo senza dilungarsi in languori proustiani (“Io facevo spesso lo stronzo e la trattavo di merda” e “la speranza finì nel cesso” sono giusto un paio di assaggi per indicare la collocazione stilistica): una tipica cittadina di provincia americana, una tipica famiglia americana, una tipica adolescenza americana a base di film horror, videogiochi, bulletti, fast food, stazioni di servizio, taccheggio, acne, alcol, droga, droga a bizzeffe, ancora droga, un quotidiano fatto di piccole vicende poco edificanti (o, per meglio dire, fatto e basta), con più ristagni e cadute che slanci, e infine - grazie al cielo - una chitarra elettrica e, dopo una sfilza di gruppi durati il tempo di un concerto, i Korn. Oltre ad aprire una finestra su un’esistenza dilaniata tra il delirio dei tour e delle dipendenze e un’affettività assai problematica, il libro offre al lettore anche un’opportunità di riflessione su enigmi di carattere etico e socio-antropologico: che vorrà mai dire ad esempio per un americano “spassarsela nello stile europeo”? Oppure, ancora, che cos’è la violenza per qualcuno che, dopo aver picchiato ripetutamente per anni la sua ragazza, percuotendola anche con uno skateboard, afferma candidamente di non essere un violento? Il romanzo di formazione di Welch ha per motore interno la costante ricerca di un antidoto alla noia e al dolore, di una salvezza (anzitutto, appunto, da se stesso, dalle sue debolezze). Ne risulta un ritratto onesto, a tratti perfino toccante per il contrasto tra il bordone di squallore e brutalità e qualche improvviso bagliore di tenerezza. E proprio in questa onestà di fondo, senza filtro, sta la sua forza e la sua capacità di coinvolgere il lettore in una vicenda altrimenti confinata all’interesse più o meno morboso dei fan del gruppo.

Salvami da me stesso, Brian “Head” Welch (Chinaski 2018)

by Alessandro Hellmann
Il lungo viaggio di un fiume rubato: dalla Valbormida a Charlie Hebdo<br><small> by Alberto Molinari</small>

Era il 2005 quando Marcello Baraghini, Il leggendario editore di Stampa Alternativa, decise di scommettere sul manoscritto de “Il fiume rubato” (che ribattezzerà poi “Cent’anni di veleno”), definendolo in un editoriale “uno straordinario esempio di narrativa sociale, così lontana dai salotti e dai riflettori che accompagnano come zecche i Baricchi e le Melisse e così vicina, invece, alla grande narrativa sociale del '900”.
Quel manoscritto, opera prima di Alessandro Hellmann in prosa, raccontava la storia incredibile e misconosciuta dei 117 anni di lotta, di generazione in generazione, della gente di una piccola valle del cuneese contro l’inquinamento chimico dell’Acna di Cengio.
Il libro, accolto dalla stampa come “un capolavoro di tecnica narrativa” e spesso accostato al lavoro di Marco Paolini sulla tragedia del Vajont, nasceva insieme ad un monologo teatrale, interpretato dall’attore Andrea Pierdicca con la regia di Nicola Pannelli (Narramondo Teatro), che, dopo le prime rappresentazioni nei circuiti teatrali, viaggerà con spirito militante per oltre cento date in teatri, piazze, cascine, spiagge, rifugi di montagna, chiese sconsacrate, centri sociali e presidi di movimenti.
Sul finire del 2017 la casa editrice transalpina Les éditions timbuctu ha riedito in italiano e in francese questo piccolo classico della letteratura resistente in una versione riveduta e aggiornata dall’autore, accompagnata dal DVD del monologo, prodotto da Gargagnanfilm per la regia di Diego Scarponi, e da una toccante prefazione di Fabrice Nicolino, giornalista di Charlie Hebdo, esperto di questioni ambientali.
“Questo libro mi commuove”, scrive Nicolino; e aggiunge: “è un libro sociale, ecologico e politico, certo, ma è anche letterario. Si sente in più di una pagina il soffio antico e perennemente nuovo dell’epopea. Scommetto che non vi pentirete di averlo letto.”
La storia di questa piccola valle è dunque tornata a valicare i confini nazionali, come già era accaduto con la rappresentazione del monologo al Théâtre de l’Ogresse di Parigi nel 2014.
Sulle ragioni dell’interesse per la vicenda Acna-Valbormida al di fuori dell’angusta geografia locale si esprime con lucidità Andrea Pierdicca: “Questa è la storia di un fiume rubato alla gente, di un fiume maltrattato, offeso e ferito; è la storia dell'arroganza miope di una gran parte del 900 industriale. Una storia particolare che, come tutte le storie archetipiche, diventa universale perchè tutti ci si riconoscono, perchè c'è un fiume pulito da difendere che scorre in ognuno di noi.”
Esaurita in poche settimane la limitata tiratura iniziale del libro+DVD in italiano e in francese, la casa editrice ha promosso una campagna di crowdfunding per sostenere una nuova tiratura più ampia e il progetto di una futura edizione in lingua inglese. Chi fosse interessato può partecipare prenotando la sua copia al link: https://www.kisskissbankbank.com/it/projects/le-fleuve-pille-il-fiume-rubato
Il fiume continua a scorrere.

by Alberto Molinari
Roma Golpe Capitale: obbligatorio riflettere. Il documentario sul caso Marino<br><small> by Barbara Bianchi</small>


Roma Golpe Capitale è il racconto di un sogno. Di un sogno infranto e abbattuto violentemente come solo i grandi sogni possono crollare: il sogno del cambiamento, di una rivoluzione senza se e senza ma. Quella rivoluzione che ha voluto sovvertire le logiche dell’interesse e inaugurare un’amministrazione efficiente, pulita e banalmente logica. Roma Golpe Capitale è il racconto della vicenda violenta ed oscura di Ignazio Marino e della sua Giunta: di una Roma perduta e senza speranza. Dietro la telecamera, fredda e appassionata, di Francesco Cordio oltre a Marino passano i volti e le parole di personaggi come il Giudice Caselli, giornalisti come Massimiliano Tonelli, fra le voci più critiche ai tempi dell’amministrazione Marino contro il Sindaco marziano, oggi uno dei maggiori difensori del suo operato. Il blogger Francesco Luna. Ma anche Federica Angeli, l’ormai tristemente celebre giornalista di Repubblica sotto scorta per aver disvelato le sozzure di Ostia e dei suoi clan mafiosi.
Roma Golpe Capitale è sulla carta un documentario: nei fatti ha la fotografia e il tratto narrativo di un film. Non è un’inchiesta: non mette a confronto difensori e accusatori. Non lo fa e non lo vuole fare. Perchè racconta, scientemente e senza farne mistero, la voce di chi voce non ha avuto: soffocato da una stampa ammalata di scandali, poco lucida, quando non anche corrotta. Con la colpa, questa sì, di aver mal comunicato il proprio lavoro e di aver preteso di sovvertire un sistema troppo radicalmente e troppo in fretta. Presunzione di un accademico? Forse...
Roma Golpe Capitale da molte spiegazioni, ma lascia allo spettatore lo spazio per fare la sua riflessione. E’ uno di quei film che obbligano a pensare e al confronto, anche dialettico, con chi hai accanto. Un piccolo grande miracolo.
Insomma, Roma Golpe Capitale è un gran bel film.


by Barbara Bianchi


La forza delle donne, al di là dei luoghi comuni….<br><small> by Margot Frank</small>


C’era qualcuno, non ricordo più chi, che diceva che se a capo dei Paesi ci fossero donne ci sarebbero molte meno guerre, perchè le donne, in quanto madri, difendono istintivamente la prole e sono più pronte, istintivamente, ad evitare quei conflitti che possono portare morte e distruzione. E’ un assioma che zoppica, questo, e si scontra contro l’evidenza, per esempio, delle donne della Mafia, spesso più spietate dei propri uomini. Eppure, sotto sotto, sappiamo tutti che qualcosa di vero c’è. La forza delle donne dei giornalisti Laura Aprati e Marco Bova è un magico inno a questa maternità, vera e propria linfa vitale dei popoli, in nome della quale si incontrano e si abbracciano idealmente le protagoniste di questo documentario: le donne profughe dal Kurdistan, cariche del fardello di figli spesso devastati e di uomini depressi e deprivati nella fuga del proprio ruolo sociale, e le donne dei paesi limitrofi, costrette dalla storia ad accogliere questa massa di povertà fra le mura della propria di povertà. Come anche è un inno alla dignità delle sue protagoniste. Con il piglio del giornalismo d’inchiesta e la poesia della scoperta di un’umanità sofferente eppur sempre dignitosa, Laura Aprati (autrice) e Marco Bova (regista) ci regalano uno spaccato di densa umanità, ce lo spiegano e ci obbligano a riflettere sulla necessità dell’accoglienza come gesto primitivo della nostra umanità più profonda.
Poco più di mezz’ora di immagini, pensieri e molti fatti, che scorrono davanti agli occhi in un soffio e rimangono nel cuore gonfio di emozione a lungo.
Vale la pena ricordare che il documentario è stato realizzato con il supporto di Focsiv che da tempo porta avanti la campagna Humanity. Sottotitolo: esseri umani con gli esseri umani.
E che, fra gli intervistati, spicca la splendida e coraggiosa Rima Karaki: la giornalista libanese diventata celebre per aver zittito in diretta e con coraggio l’avvocato e sceicco islamista Al-Seba’i.
Il documentario sarà in tour. Per le date www.laforzadelledonne.com.


Margot Frank



Le stelle rare e preziose <br>delle <br>Mujeres Creando<br><small> by Margot Frank</small>




Mettete cinque donne. Tutte musiciste. Tutte napoletane. Mettete loro in mano strumenti della tradizione e della contemporaneità: un canto che buca per la sua passione (Assia Fiorillo), una solida e melodica chitarra (Claudia Postiglione), un violino che canta (Igea Montemurro), una calorosa voce di fisarmonica (Giordana Curati), una batterista che sa giocare con il ritmo (Marisa Cataldo). Affidate loro il tema più antico del mondo, l’Amore. Dipingete storie e sentimenti su un grande murales dai tratti etnici e dai colori immediati di certo pop di qualità. Sul fondo immaginate un cielo caldo come tanti orizzonti del mediterraneo. Shakerate e mettetevi in ascolto. Vi verrà voglia di ballare e di cantare, di commuovervi e di ricordare. Perché fra le pieghe delle storie raccontate e cantate da queste artiste dirette come la migliore tradizione partenopea sa fare ci sono anche le vostre storie e in una è inevitabile che vi ritroviate…

E questa è la magia della musica…




Tutto questo e molto altro fra le pieghe di un bellissimo cd, a firma Mujeres Creando: Le stelle sono rare. Un nome e una promessa.
Dal nouveau tango al gipsy jazz, alla contemporanea world music, in questo lavoro delle Mujeres Creando si sente la dolcezza della morna di Cesaria Évora, ma anche la raffinatezza di Caetano Veloso o l’intensità di Susana Baca. Ma anche, perchè no, di Vinicio Capossela, Avion Travel e Pino Daniele. E di certa tradizione mediterranea. Mentre gli arrangiamenti risentono dei profondi ascolti della tradizione francese, in alcuni casi di certo kletzmer alla Bregovich. Gli arrangiamenti vedono la collaborazione di Ernesto Nobili che ha offerto anche basso e chitarre. Fra gli ospiti, al pianoforte, Elisabetta Serio.
Il cd è uscito per Apogeo Records e per le edizioni di Marechiaro. E' distribuito da Edel.

by Margot Frank


La calda voce dei Cinqueinpunto con i loro <i>Imbonitori e mignotte</i> in salsa rock<br><small> by Margot Frank</small>


Bussano alle porte delle emozioni con la voce particolarissima del loro leader, Pierluigi Manazzoni, i Cinqueinpunto: Leonardo Battistuta alle chitarre, Claudio Liani alla batteria, Luigi Peresano alle tastiere, Flavio Floreani al basso. Dopo anni di palco, di cambi di nome e di rimpasti nella formazione escono con un loro album pieno di cuore passione, voglia di dire e di suonare. Si tratta di Barkers and Sluts (... and rockers), ovverossia imbonitori e mignotte (...e rocchettari): un concept album uscito alla fine del 2017 per i tipi di Folkest Dischi dal sound rock progressive che vuole invitare, in modo personale ed energico, a pensare con la propria testa. Messaggio forse non originalissimo ma sicuramente lodevole: repetita, in questo caso, sicuramente iuvant. Come direbbe un qualsivoglia letterato latino d’altri tempi.
Al di là delle lodevoli intenzioni programmatiche, che non hanno niente di nuovo, pur nella veste sincera e, come tale, sicuramente profonda, questo album arriva per la passione: della voce e delle tracce musicali, tutte dirette, emozionali, cariche di calore, in questo sinceramente rock nelle intenzioni e nello stile.
Ne hanno masticata di musica e di palco i Cinqueinpunto: hanno ascoltato con passione i grandi del passato, li hanno ingurgitati e rimasticati ed ora ce li restituiscono rinfrescati di un certo sguardo fresco e nuovo.
Tutti ingredienti che rendono questo un disco autentico e godibilissimo. Da scoprire anche nel live...

by Margot Frank

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