Don Giovanni: i fantasmi adulti di un eterno bambino<br><small> by Anna Crudo</small>

Il Teatro Sociale, piccolo gioiello incastonato in quell’incantevole cittadina che risponde al nome di Amelia, ha ospitato l’allestimento del Don Giovanni di Mozart, nell’ambito di Ameria Festival.
Non stiamo parlando di un piccolo evento locale, ma di una kermesse a cui partecipano alcuni tra i più grandi nomi della scena internazionale. Quest’anno, tra gli altri, Uto Ughi, Arturo Annecchino, Simona Marchini, personaggi che sono garanzia di un livello culturale elevato, così come vuole la direzione artistica di Peter Stein.
In tale scenario, in un ambito tanto curato, Don Giovanni (Ameria Festival, 25 settembre), sicuramente uno dei capolavori di Mozart, trova naturale e degna collocazione. La regia di Gianmaria Romagnoli, ha offerto un Don Giovanni bello da guardare, oltre che da ascoltare, grazie all’allestimento scenografico di Giovanni Di Mascolo e ai costumi di Andrea Sorrentino; un equilibrato gioco di fedeltà alla tradizione barocca e di una modernità che risalta in tocchi accesi, ma mai eccessivi.
Su questa scena, altamente evocativa sia della giocosità mozartiana che del dramma imminente, si muovono i personaggi che Da Ponte creò con tratto tanto fine ed arguto e che Mozart mise in musica creando alcune delle arie più belle di tutto il panorama operistico.  Il risultato è un allestimento molto godibile, in cui la leggerezza di Zerlina, il soprano Raffaella di Caprio, trova un opposto ben bilanciato nella gravità di Donna Elvira, cui presta voce Paola Ferendil di Gregorio e di Donna Anna, interpretata da Maria Tomassi. Lo stesso risultato convincente anche per i personaggi maschili, con un Don Giovanni visibilmente narciso e denso di sicumera, qual è stata l’interpretazione di Pierluigi Dilengite, un ottimo Andrea Scorsolini nel ruolo di un Masetto che canta i limiti della sua bontà e tolleranza. Molto interessante la bella voce di Raffaele Abate, che ha impersonato un Don Ottavio fiero ed elegante, sia nel fraseggio che nella presenza scenica, mentre ad Alessandro Calamai va un plauso per la bravura nel vestire i panni di Leporello.
Abbiamo detto, in apertura, che Don Giovanni è forse il capolavoro assoluto di Mozart, l’opera della maturità di un genio che in fondo è rimasto sempre, almeno in parte, bambino. Mai come in quest’opera Mozart utilizza la forza dei propri fantasmi di adulto e la contrappone brutalmente alla giocosità propria del fanciullo, in una complessità musicale e scenica che non smette di affascinare il pubblico da più di tre secoli.

Anna Crudo
Le storie cantate di Graziella Antonucci <br><small> by Margot Frank</small>


Domenica 27 Settembre ore 17.00 presso il Salone d’onore di Palazzo Braschi (Piazza Navona, 2- Ingresso libero ai visitatori del Museo muniti di biglietto fino ad esaurimento posti disponibili - Info 060608 www.museodiroma.it) Graziella Antonucci (voce) presenterà il suo nuovo progetto musicale discografico, C’era ‘na principissa. Al suo fianco, alla chitarra, sarà il fedele Marco Quintiliani.
La raccolta dei canti proposti in questo concerto è frutto di una laboriosa ricerca svolta da Graziella Antonucci, sia sul campo, sia presso l’Archivio della Discoteca di Stato di Roma (CNBSA). Si tratta di canti antichi, per lo  più in dialetto, e tramandati oralmente da generazioni. Nascono nelle campagne, nelle risaie, nelle fabbriche, nelle carceri e nelle osterie e raccontano momenti di vita quotidiana. Sono canti che parlano d’amore, di lavoro, della condizione della donna,  di religione, ma anche di guerra.
Abbiamo voluto farle alcune domande sul suo lavoro e sulla sua ricerca. 


Fra fiaba, storia e cruda cronaca: da anni fai una ricerca sulla canzone popolare. Quali sono i confini secondo te fra narrazione dei fatti e fantasia nelle storie che hai raccontato in questi anni?
Dei confini ci sono, certo: i fatti sono reali, veramente accaduti, ma vengono proposti e narrati secondo la mentalità e i modi di dire della gente dei vari luoghi da cui provengono i canti, per lo più in dialetto. I personaggi, quindi, parlano e si muovono, come nei romanzi, diretti dall’autore del testo: sempre vivi, spesso attuali, soprattutto se si pensa al perpetuarsi dei femminicidi; in molti casi estremamente toccanti come, ad esempio, le Passioni dove la Madonna viene rappresentata come una madre qualsiasi che piange e si dispera per il figlio morto…
Hai incontrato numerosi personaggi: quali ti hanno colpita di più e perché?
Il personaggio che più mi ha colpito nelle mie lunghe ricerche è Cecilia, la cui tragedia potrebbe risalire, secondo Costantino Nigra (sec. XIX), al sec. XVI. La storia, in breve, è questa: Cecilia si concede al capitano per salvare il marito condannato a morte, ma viene tradita e il suo uomo muore. Esistono tante versioni, nei vari dialetti e con finali diversi, a seconda delle  regioni di origine: la Cecilia veneta esprime a parole la sua rabbia impotente, quella piemontese muore di dolore, ce n’è una toscana che dà malinconicamente l’addio al suo paese, la Cecilia romana si vendica uccidendo il Capitano e finisce in prigione, la Cecilia di Artena-RM (versione lunghissima da me raccolta sul campo da una donna del posto) uccide il Capitano e si suicida, precorrendo la vicenda, nella musica colta, di Tosca…Sono tutte molto coinvolgenti. E ne esistono altre.

Nel tuo nuovo disco sei andata alla ricerca di canti pescati nel quotidiano, nel vissuto di tutti i giorni? Vorresti spiegarci che differenza c’è rispetto ai tuoi numerosi lavori precedenti?
Ho sempre scelto un tema, un filo conduttore per i miei CD (10): la guerra (a partire dall’età napoleonica alla Resistenza, passando per il Risorgimento e la Grande Guerra), la protesta, il lavoro e l’emigrazione, la religione, la condizione femminile…
Per il mio ultimo CD, Fuoco e mitragliatrici-Canti della I Guerra mondiale, la ricerca è stata, oltre che interessante, particolarmente commovente, perché pensavo anche ai miei due nonni che hanno combattuto nella Prima Guerra mondiale e alle terribili sofferenze che hanno patito, alle atrocità di cui sono stati testimoni. Ma di cui non amavano parlare.
In C’era ‘na principissa ho scelto una serie di antichi canti popolari che si riferiscono ai vari aspetti  della vita quotidiana e rievocano  i sentimenti di gente vissuta prima di noi.

Quali ambiti ancora non hai trattato e vorresti affrontare nel futuro?
Nel futuro mi piacerebbe fare una raccolta di sole canzoni narrative, quelle che, con un andamento quasi parlato (molte si cantano “a cappella”), raccontano storie di amore, di tradimenti, di eroismi, di guerra…
Alessandro Scillitani ci racconta la sua Appia Antica<br><small> by Margot Frank</small>

Da Brindisi a Roma, lungo l’Appia Antica: Alessandro Scillitani ha appena terminato un tour di presentazione de Il Cammino dell’Appia Antica, il film di Paolo Rumiz e Alessandro Scillitani che racconta, come ogni anno, un viaggio e che quest’anno è andato a ripercorrere le pietre miliari e gli snodi della storica via Appia, da Roma a Brindisi. Ne sono nati dei racconti a puntate ed una serie di documentari dal titolo “Il Cammino dell’Appia Antica”.



Che cosa significa per un regista confrontarsi con la dimensione del viaggio? In termini di regia, montaggio e quant’altro…

Per me ogni documentario è, di per sé, un viaggio. Nel senso che il racconto, le storie, devono essere parte di un percorso che è necessariamente aperto alle sorprese e alle contraddizioni.

Per cui è stato meraviglioso per me, essere parte di un viaggio che rappresenta l'essenza stessa del viaggio: andare a piedi significa che ogni momento fa potenzialmente parte del racconto. È come se la sceneggiatura del film si componesse da sola, attraverso gli incontri, i paesaggi, ciò che ti porta la strada. E tu non devi fare altro che restare in ascolto e raccogliere ciò che ti porta il viaggio.



Fra i tuoi documentari più celebri c’è Case abbandonate. Qui ripercorri l’Appia: i luoghi quindi sanno parlarci? Ispirazione o testimonianza?

Ci sono temi che ricorrono nei miei film. La memoria dei luoghi mi affascina molto. Nelle riprese che faccio, cerco sempre di evocare chi possa avere in passato attraversato quei luoghi, di pensare a come potessero essere quelle pietre calpestate dai nostri antenati. Mi interessa molto il nostro rapporto con la memoria, che purtroppo in molti casi è debole e distratto.



Tu sei anche musicista dei tuoi lavori: come avviene il tuo lavoro creativo? come pensi immagini, montaggio e musica?

Di solito, compongo le musiche mentre sono in viaggio. Le idee mi vengono in mente mentre faccio le riprese, raccolgo storie, incontro persone. La sceneggiatura e il montaggio invece si fondono insieme e si realizzano soltanto a viaggio finito, davanti al computer.



A breve cambierai panni e ti trasformerai nel Direttore Artistico del Reggio Film Festival, uno dei festival che raccoglie più contributi da tutto il mondo. Quest’anno sono quasi 1500 i corti pervenuti. Che opportunità è per un creativo confrontarsi con tanta creatività?

Un'opportunità importantissima. Io credo di avere imparato moltissimo del mio mestiere attraverso la visione e la scelta dei cortometraggi che arrivano per il festival. Mi nutro delle intuizioni di montaggio, colgo le genialità delle idee e gli errori di sceneggiatura. Una palestra fondamentale.
Gingermagazine al Premio Poggio Bustone<br><small> by Micol May</small>


Questo settembre c’è stato il Festival di Poggio Bustone ed ho avuto la fortuna di essere in giuria insieme a Marco Testoni (compositore e music supervisor, Presidente di Giuria), Massimo Rossi (musicista), Cristina Lattaro (editrice e scrittrice). Ero lì ovviamente per GingerMag.
Esperienza molto carina: già ero andata ad altre edizioni di questo festival, ma come spettatrice ed ho sempre pensato che qui in Italia ci sono un sacco di talenti nascosti…
Quest’anno per esempio le vincitrici del festival sono state Iza&Sara, due ragazze molto simpatiche e anche molto molto brave. Il brano che hanno cantato, Senza Tempo, mi è piaciuto un sacco. Gli altri vincitori sono stati: i Personne da Montesilvano (PE) con Signore, Signora: secondo posto. Al terzo posto con la stessa votazione (ex equo) si sono classificati Sole Andreuzzi da Marino (RM) con La leggenda della ninera e Paolo Longhi da Roma con Attimi immersi. Abbiamo poi voluto dare un Premio della Critica per il miglior testo ai Lyr da Rivoli (TO) conAbicidì. Il Premio alla Personalità artistica emergente deciso direttamente dallo staff del Premio è andato a Corrado Neri da Avola (SR) per Chef per una sera.
Oltre alla pioggia, che ci ha bagnati tutti e che ovviamente non si può controllare e che è sempre un rischio per spettacoli all’aperto, era tutto organizzato molto bene, dall’inizio, con l’apertura del festival con una giovanissima Carla Paradiso che ha offerto una bella interpretazione a Nessun dolore di Battisti; fino alla fine con le premiazioni.
Hanno organizzato e partecipato tutte persone molto gentili e simpatiche e mi sono divertita molto ad essere tra i giurati e a stare per un po’ nell’atmosfera di questo festival.

Micol May
Ameria Festival 2015: we insist on making Culture<br><small> by Margot Frank</small>


From September the 11 to October the 11 Amelia, one of the more ancient town in Umbria with the name of Ameria, will be invaded by art and culture. This is Ameria Festival. Artistic consultant of the venue is Peter Stein. One month of music, theater, expositions, meetings. Among the guests of the Festival many known names and many news: Uto UghiBruno CaninoArturo AnnecchinoPeter Stein, Europa Musica Choir and Orchestra, Santa Cecilia Academy Soloists, Rome Opera Wind Quintet, Simona Marchini. The third edition of Barbarossa Price will be assigned to Terence Hill.

As every year the festival is organized in week end in order to facilitate people coming from other regions. Friday is the day of music, Saturday of theater or jazz, Sunday of more popular venues and of Food and Wine, one of the most important tradition in Umbria.


Margot Frank

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