"Tutto in ordine" di Andrea Ronchetti al Tordinona di Roma<br><small> by Federico Donati</small>



Dieci le serate in cui è andato in scena lo spettacolo, sempre sold out. Quella di Andrea Ronchetti è stata la commedia che in molti attendevano, uno spettacolo che sin dalla prima scena ha coinvolto il pubblico catapultandolo all’interno della propria vicenda. Un cast formidabile quello di Tutto in ordine: Dario Bovenzo ,(nei panni di Teo), Andrea Ronchetti ( nei panni di Leon), Francesco Mazzei (nei panni di Riccardo), Valeria Izzo (nei panni di Johanna) e Damiano Lo Russo (nei panni di Andrea). Tutti giovanissimi eppure sempre assolutamente all’altezza, dimostrando talento, passione e grandi doti recitative. L’opera si basa su una riscrittura dei Parenti terribili di Jean Cocteau, tragicommedia borghese che da sempre ha appassionato il regista Ronchetti, il quale l’ha rielaborata in forma più leggera e scorrevole per il pubblico scegliendo di andare a trattare tematiche che fossero dell’oggi. All’interno dello spettacolo vi è un grande lavoro di movimento scenico costruito su uno sfondo ove campeggia un  maestoso Wassily Kandisky (Disordine ed ordine). Fondamentale sulla scena è il corpo e il movimento degli attori ed ogni personaggio rappresenta nel suo modo di muoversi ed esprimersi il disordine e l’ordine, appunto. Uno studio quello del “movimento” curato nel dettaglio e studiato nel particolare. Questa lettura di Andrea Ronchetti, quindi, è quella di una commedia sulle relazioni umane e sull’amore. Uno sguardo sul disordine negli affetti, anche in ambito sessuale. Un disordine a cui si porta ordine proprio alla fine dello spettacolo dove a vincere sarà l’amore puro, quale che sia l’orientamento sessuale delle persone. “Puro” come quello che dovrebbe essere l’amore di tutte le età, da quello adolescenziale a quello più maturo. Tutto in ordine: non è stato, quindi, uno spettacolo qualunque, ma piuttosto un’importantissima occasione per riflettere, commuovere e ridere allo stesso tempo. Qualità imprescindibili in chi voglia offrire con personalità il proprio contributo autentico all’arte e allo spettacolo.

Federico Donati
EVVIVA!!!! <br>GLI … R5<br><small> by Micol May</small>


Allora…oggi parlerò degli R5!inizio dicendo che è la mia band preferita…(li adoro!)ma cercherò di non parlare da fan perché sennò starei tutto il tempo a dire quanto sono fantastici quanto amo Ross Lynch (il cantante della band)…quindi cercherò di scrivere come una normale persona che deve recensire una band…
Allora gli R5 suonano pop-rock e alternative rock: la loro musica mi piace molto perché non è come quella delle altre band… intendo che è diversa, forse è anche perché è un p’ più rock che pop nella maggior parte delle canzoni e già questo li rende di fatto diversi da gruppi come, per esempio, i  One Direction.
La band è formata da 4 ragazzi (Ross, Rocky, Riker Lynch ed Elington Ratliff) e una ragazza (Rydel Lynch). Sono tutti fratelli tranne il batterista (Elington Ratliff) che è il loro migliore amico;una cosa che mi piace molto della band è l’origine del nome R5…perché, se ci avete fatto caso, i loro nomi e il cognome dell’amico, iniziano tutti per “R” (R5) e sono in 5 quindi R5.
Hanno pubblicato il loro primo EP nel 2009 intitolato READY SET ROCK  non serve dire che è un pezzo rock, a me piace molto… (mi sa che mi piace il rock…!:-D).
Nel febbraio del 2013 è uscito un altro EP: LOUD (stu-pen-do!!). Circa un anno dopo pubblicano l’album completo Louder che, tra parentesi, ho comprato e praticamente messo in una teca di vetro per quanto mi piace; di quest’album mi piacciono molto le canzoni: Loud, I want u bad, Pass me by e altre…(mi raccomando ascoltatelo!!!)
Poco tempo fa è uscito il nuovo EP che anticipa il secondo album. Le canzoni mi piacciono tutte, però quella che ascolto di più è Stay with me che è un pò triste però mi piace tantissimo! Poi c’è Easy love, Things are looking up e Heart made up on you (che è anche titolo dell’EP). Quando è uscito l’EP, appena l’ho sentito ho iniziato a saltare e a urlare in salotto… perfino la mia gatta si è spaventata tanto da mordermi e uscire dalla stanza isterica (anche se io resto dell’idea che era isterica perché era uscita la canzone non perché era spaventata…;-P)…credo che capite da soli quanto mi piace questo brano…
Insomma gli R5 sono fantastici vi consiglio vivamente di ascoltarli e…..W GLI R5!!!!!!!!!!x-D


Micol May
LA VERITA’ SULLA BOLLA FINANZIARIA: ESCE MASTER OF THE UNIVERSE<br><small> by Margot Frank</small>


Forte, asciutto, impegnativo, appassionante. Appassionante come un thriller. Impegnativo come un’inchiesta. Forte come un film che sa andare dritto alla verità. Questo è Master of the Universe, il documentario di Marc Bauder che, attraverso l’intervista shock a Rainer Voss, un broker un tempo spietato, ora uscito dal giro, ci racconta con freddezza le ragioni del dramma finanziario che sta uccidendo l’economia del vecchio continente. Una fotografia sobria e al contempo lucidamente narrativa. I tratti di una scrittura più cinematografica che semplicemente documentaristica: Marc Bauder firma un film che convince malgrado, qua e là, la difficoltà del linguaggio spesso molto tecnico. Qualche volta sfugge il senso dei dettagli narrati, ma l’emozione della catastrofe raccontata, l’umanità di questo uomo che descrive l’atrofia morale e umana di un periodo tanto importante della sua vita, appassionano e permettono di addentrarsi comunque nel senso più profondo della vicenda.
Vincitore alla Semaine de la Critique di Locarno, finalista all’European Film Award per la categoria documentario, Master of the Universe, dopo un’uscita lampo nelle sale è comunque disponibile in VOD (Video on Demand su Mymovies) grazie al coraggio di un distributore, Nomad Film, che ha aderito Tide, un progetto coordinato da Arp in collaborazione con Europa Distribuzione e altri 30 distributori europei, Under the Milky Way, The Film Agency e 4 agenti vendite con l’obiettivo di sperimentare in Europa nuovi modelli di di distribuzione e di business per il mercato cinematografico.



Margot Frank
La qualità, il cibo in tv e il nostro tempo in cucina.<br><small> by Ginger for Breakfast</small>



Inizia oggi il mio racconto di cibo, annessi e connessi con i lettori di Gingermag e io che per pseudonimo mi sono scelta quello di Ginger for Breakfast, non potevo non accettare l’invito graditissimo a scrivere qui!
Per cominciare vi dico qualcosa di me. Cucino da sempre, fin da molto piccola, grazie ad una salda tradizione emiliana che mi ha allevata all’insegna del buon cibo. Si parte dagli intingoli di mia nonna e poi da quelli dei miei genitori, entrambi cuochi sopraffini, che mi hanno insegnato senza parole ad alleggerire la nostra cucina regionale non sempre adeguata ai nostri più sedentari tempi moderni, visto che “ciò che nutre il muratore uccide lo scrivano”, recita un saggio detto popolare.
Ad un certo punto il cibo è diventato anche il mio lavoro, è nata Ginger con le sue lezioni di cucina per italiani e stranieri, i suoi catering, i take away, le degustazioni, il tutto all’insegna dello studio, della ricerca delle cose buone, del cibo vero, quello che ha un profumo, un corpo e un sapore reale.
Cibo vero.
Sì, perché da qualche tempo mi chiedo come mai il nostro modo di mangiare subisca sempre più cambiamenti e contaminazioni poco felici senza che noi ce ne occupiamo seriamente.
Questo almeno mi dice la mia esperienza con i miei ospiti, amici e commensali.
Proprio adesso che di cibo si parla moltissimo, ma dire food è più di moda, è sempre più ostico afferrare il vero cibo, aldilà dei finger food, dei food contest, dei food blogger e dei food writer. Nulla tolgo a queste voci, anzi, ma sento impellente la necessità di semplificare questo mare magnum da grande abbuffata a tratti un po’ troppo patinata.
Un documentario molto ben fatto, “Così mangiavamo” di Stefania Aphel Barzini e Alessandra Acciai, (che potete trovare sul sito della Rai) mi ha convinta a mettere in ordine una serie di riflessioni che da tempo sono sparse nella mia mente e con cui mi confronto ogni volta che faccio la spesa e che cucino.
Cosa mangiamo, davvero, di vero? Cosa sappiamo di quello che mangiamo? E soprattutto, quanto ci importa di quello che mangiamo?
Siamo il popolo che più in assoluto si diletta a parlare di cibo perfino mentre lo assapora, abbiamo una tradizione centenaria (millenaria!) di piatti regionali e un territorio che ci fa dono della ricchezza senza prezzo di poter differenziare ogni nostro prodotto, eppure? Eppure noi italiani cuciniamo sempre meno e sempre peggio senza considerarlo un fatto spiacevole.
Guardiamo i grandi chef cucinare in tv, il che ci pare affascinante, ma se dobbiamo farlo noi quest’attività sembra perdere subito la sua magia riducendosi a un impegno per cui non si ha il tempo. Cucinare oggi è un’abilità che diventa più o meno interessante a seconda del glamour che le gira intorno, se no viene spesso ancora inteso come un lavoro da massaie grassotelle.
Che poi, se a cucinare è un uomo si scatena all’intorno una religiosa curiosità, se è una donna a farlo oltre a sembrarci normale, sotto sotto pensiamo che siamo fortunati a fare altro.
Prova ne sia il fatto che il grande rumor intorno allo chef system gira intorno a cuochi-uomini, le cuoche-donne allo stesso livello di notorietà, potere e ricchezza sono assai meno e meno note al grande pubblico.
Ma torniamo a noi e a quello che mangiamo.
Non trovate che proprio ai tempi della tracciabilità, dell’etichetta, della severa legislazione alimentare, sia così complesso essere certi della qualità di quello che finisce nei nostri piatti, sempre che abbia ancora un’importanza? La domanda mi si pone perché assai spesso parlo con persone che cercano di convincermi della mia pignoleria e che in fondo perché spendere di più se si può avere il pollo a 3 euro al kilo? Tanto è sempre pollo. Io non ci giurerei invece.
Reperire prodotti semplicemente buoni o freschi è in effetti più complesso di un tempo purtroppo, a meno di avere un mercato vicino casa e di disporre di pazienza e buona volontà, qualità indispensabili per scegliere il prodotto giusto. Ma cucinare forse comincia proprio lì, quando i fornelli sono ancora lontani. Può esserci un gran piacere in questa fase della preparazione, immaginando profumi e combinazioni originali e credo fermamente che sia sempre più importante riscoprirlo. Questo significa scegliere di promuovere la nostra cultura antica, preservare un sapere che pareva scontato e indistruttibile solo fino a un paio di generazioni fa.

Significa semplicemente mangiare sano. Il che ha un’allure quasi rivoluzionaria talvolta.
Quello che cerco di fare, ad esempio durante una lezione di cucina, è dimostrare che è possibile mangiare bene, sano e buono senza dover dedicare il proprio tempo solo a questo, senza essere chef stellati e senza particolari pretese, se non quella della bontà in senso lato.
Il cibo e la cucina di ogni giorno hanno bisogno di tornare patrimonio delle persone, tutto questo vedere e parlare di cibo lo ha tanto allontanato da noi, facendolo diventare roba da espertissimi del settore e relegando le nonne a depositarie di un tesoro demodè. Ed è un gran peccato. Perché certe conoscenze si perdono in fretta se non vengono praticate.
Il cibo è un’eccelsa forma di condensazione di cultura scritta e orale che si consuma assaporando.
E il nostro piatto del cuore è quasi sempre saldamente ancorato a una tradizione regionale, familiare, antica, oltre che naturalmente al momento storico in cui quella pietanza si inscrive; anche se non sappiamo cucinarlo sappiamo descriverne le vibrazioni che provoca e potremmo riconoscerne il profumo anche dopo secoli dall’ultimo assaggio.
Ovviamente la ricerca, l’innovazione e la tecnologia in cucina sono sacrosante e costituiscono la pionieristica evoluzione culturale di quello da cui siamo partiti. A patto che non ci si fossilizzi solo su questo e che ciò non diventi appannaggio di un’élite irraggiungibile, sia in termini di creatori sia di consumatori.
Quindi bisogna conoscere, essere curiosi, domandare, farsi raccontare e sperimentare. Senza accontentarsi.
Come mi disse l’inarrivabile e acutissima chef Anna Dente dell’Osteria di SanCesario – RM dopo uno dei pranzi migliori della mia vita, “…che io sarò pure ‘gnorante ma per culo nun me ce faccio pijà”.





Ginger for Breakfast

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