NOMACHI E LE VIE DEL SACRO: UNA COLORATISSIMA RICERCA SULL’UOMO<br><small> by Barbara Bianchi</small>


Sahara, Nilo, Etiopia, Islam, Gange, Tibet e Ande: questi i paesaggi che Kazuyoshi Nomaci indaga con il suo sguardo pieno di colori e sfolgorate di luci ed ombre. Una bella, bellissima mostra fotografica dedicata a questo artista della fotografia che, lungo il percorso di oltre 200 scatti, ricostruiscono il suo viaggio fra i popoli sotto l’angolo visuale di un tema molto forte ed impegnativo, “Le vie del sacro”. L’idea suggerita dai curatori e da Nomachi stesso è quella che il suo sia in realtà un percorso lungo la sacralità dell'esistenza quotidiana, un'esperienza vissuta dall'artista in terre tra loro lontanissime accumunate da quella spiritualità che dà un senso alle condizioni di vita più dure. Una lettura effettivamente calzante da più di un punto di vista. Che lascia perplessi solo per la forte discrepanza di soggetti fra la prima e la seconda parte. Mentre in Etiopia, Islam, Gange, Tibet e Ande Nomachi ha incontrato pellegrini, sacerdoti, uomini e donne impegnati nella ricerca di un mondo “altro”; mentre, quindi, per questa sezione parlare di “vie del sacro” potrebbe addirittura sembra didascalico; nella prima parte, quella delle immagini di Nilo e Sahara, i paesaggi, i costumi descrivono di uomini e di donne e della loro vita, una vita che certamente racconta anche un percorso sotteso verso il sacro, ma solo incidentalmente.
Sorprende poi un altro fatto: Nomachi ha incontrato popoli e religioni, ne ha indagato usi e sfaccettature. Ha descritto praticamente tutte le religioni, i più svariati percorsi di ricerca del sacro. Con alcune rumorose assenze: la religione ebraica e le numerose, spesso coloratissime, confessioni protestanti. Forse, chissà, saranno uno dei suoi prossimi viaggi.


Da segnalare lo splendido, creativo, sorprendente allestimento progettato da Peter Bottazzi tutto giocato su aste di legno tessute a trama di un viaggio per lo sguardo.

Roma, La Pelanda, fino al 4 maggio 2014 (http://www.mostranomachi.it/)

Barbara Bianchi

ESCE IO SONO L’ALTRA INTERVISTA CON L’AUTRICE, ANNA CRUDO<br><small> by Margot Frank</small>



Anna Crudo esce con il suo primo libro dal titolo emblematico di Io sono l'altra (Edizioni Ensemble): undici racconti di amori scomodi. Un libro denso quanto scorrevole: lo leggi tutto d'un fiato alla ricerca, fra i meandri di queste storie, lavicenda che forse è un po' anche tua, senz'altro di qualcuno che conosci.


Anna, come sei arrivata a maturare l'idea di questi racconti?
Credo sia nato tutto da un rimpianto. Qualcosa che poteva essere ma non è stato, e che mi sono trovata a rielaborare in un breve scritto. Una specie di seduta terapeutica. Alla fine, diciamo così, dalla seduta individuale mi sono ritrovata in una terapia di gruppo! Dove si racconta cosa significa amare qualcuno con poche, a volte zero prospettive di futuro.


Amori scomodi: un tema tanto contemporaneo infarcito di pregiudizi tanto antichi. Che cosa volevi che lasciasse questo libro ai tuoi lettori?
Il messaggio che non esiste un amore tanto puro da non rischiare contaminazioni. Che non esiste persona che non possa, o non potrà un domani, innamorarsi senza preavviso di qualcuno, per scoprire che era il momento o la situazione sbagliata. La società contemporanea utilizza nuovi codici per etichettare le relazioni di coppia. C'è ovviamente, rispetto a decenni fa, una maggiore apertura: le coppie di fatto, le convivenze, anche i single che hanno relazioni poco stabili, anche le coppie omosessuali, sono ormai nel quotidiano senza che nessuno se ne meravigli. Simpatizziamo con loro, ne comprendiamo il significato, ne accettiamo, più o meno, le differenti immagini.
Diverso è l'atteggiamento di fronte a sentimenti che ci sfuggono, che non corrispondono alla normalità, come nel caso  di una donna o un uomo che si innamorano di qualcuno che non è libero. Ci sembra che stiano solo perdendo tempo. Se soffrono pensiamo che fosse prevedibile. Difficilmente proviamo empatia per loro. In questo caso l'etichetta non mi sembra diversa da quella che è sempre stata. Magari in Occidente non esiste la lapidazione per adulterio, ma conosco poche persone che amino spendere più di cinque minuti a chiedersi se questi "amanti", donne o uomini che siano, abbiano un cuore e un'anima. Di solito ci si ferma all'imbarazzo. Nessuno ha voglia e tempo di capire che tipo di sentimento esiste tra queste strane, complicate coppie.
Tanto più in questa epoca dove l'unico pudore sembra ormai quello dei sentimenti, anche i più "normali".


Come avviene per te l'atto creativo, che cosa succede, insomma, che ti porta
a metterti giù e a scrivere?
I miei momenti creativi più interessanti nascono quasi sempre in mezzo alla gente, al traffico, in viaggio. Ma può anche succedermi che un fatto sentito o vissuto scateni il bisogno di mettere insieme le idee.
Poi ci sono luoghi particolari a cui sono legata, dove il fluire dei pensieri è naturale. Uno di questi è la Sardegna, dove il vento riesce sempre a fare piazza pulita di tante tensioni e lascia al loro posto un meravigliato silenzio. In quello trovo sempre qualcosa di bello che vorrei raccontare. E poi ci sono le immagini. Sono una divoratrice di immagini, di dipinti, di foto. E' una grandissima fonte di ispirazione.


Il prossimo libro nel cassetto?
Lavoro ad un romanzo. Non posso ancora dirne molto, se non che i toni della narrazione sono solari e a tratti comici. Essendo un'esordiente ho ancora la gioia di scrivere per me stessa e di non dover soddisfare richieste precise di stile. Spaziare in ambiti diversi mi diverte e inoltre mi piace l'idea di sfuggire alle etichette.

Margot Frank

SE VUOI IL MIO POSTO PRENDITI IL MIO HANDICAP<br><small> by Barbara Bianchi e Micol May</small>



In principio fu una pagina Facebook nata dalla penna e dalla testa di chi si era stufata di non poter godere dei diritti, sacrosanti, di un genitore di un portatore di handicap.
Primo fra tutti il diritto al parcheggio. Bene impalpabile e preziosissimo per il quale anche la persona più mite oggigiorno sarebbe disposta a gesti inconsulti. Parliamo del 2010. Ora, se l’idea di una campagna di sensibilizzazione sia nata da quella pagina o dalla creatività di qualche copywrite sagace non è dato sapere. Di fatto a partire dal 2011 in Italia sono comparsi simpatici cartelli che recitano “Se vuoi il mio posto prenditi il mio handicap”: a Brescia, in Puglia, a Perugia. Cartelli che non passano inosservati, ti fanno fermare, anche sorridere. Insomma, dimostrano che, la fantasia e la creatività sono quelle che fanno la differenza in tutto, anche nel codice della strada...

Barbara Bianchi


Il parere di Micol May (Il Piccolokkio)

Un cartello che ci dice in modo divertente di lasciare il posto ad uno che ne ha bisogno….trovo questa idea molto innovativa, perché oltre che far sorridere le persone che lo vedono, magari riuscirà anche a lasciare il posto a chi ne ha veramente necessità. Per me dovrebbero mettere cartelli di questo tipo in tutto il mondo, perché alcuni posti ne hanno veramente bisogno. Non parlo solo della gente che non pensa proprio che quello è un parcheggio per disabili, ma anche di quelli che pensano “tanto è per cinque minuti, non importa!”.
Penso poi  a chi ha scritto questo cartello (un genio!!!), forse era stufo di queste persone o forse era uno che qualche volta, anche lui, ha parcheggiato in un posto per disabili. Fatto sta che per me che questa idea può, speriamo, rivoluzionare le nostre strade.
Essere disattenti, però, non è solo un problema di parcheggio. Basta vedere il telegiornale e si può notare che capita spessissimo di sentire che qualcuno viene investito da un auto o da un autobus, da qualcuno che andava troppo di fretta….

Quindi, alla fine,  è un problema che riguarda un po’ tutti….

Micol May
INTERVISTA CON VICTOR ENRICH: ARTISTA VISIONARIO<br><small>by Margot Frank</small>


Di recente ha sollevato un immane polverone fra i fan della pagina Facebook di Repubblica per le sue architetture visionarie. In realtà già alcuni mesi prima il gruppo art-jazz Pollock Project aveva scoperto la magia delle sue creazioni visionarie fra fotografia digitale e architettura in un suggestivo video mashup di Unbalanced.


Come e quando ti è venuta in mente l'idea di queste architetture visionarie?
È difficile dire esattamente il momento giusto in cui mi è venuta questa idea. Probabilmente dovrei andare indietro negli anni e risalire fino alla mia infanzia. Quando ero piccolo infatti passavo ore ed ore giocando con il Lego e già li, senza che nessuno mi dicesse niente, invece di seguire le instruzioni di montaggio in dotazione di ogni scatola che i miei mi regalavano, io davo vita alle mie costruzioni, ricombinando i pezzi e creando modelli di città in scala.

E poi come si è evoluta la tua tecnica?
Quando il Lego iniziò a mancare di dettagli, dovuto al fatto che permetteva unicamente configurazioni condizionate dai pezzi, passai al disegno tecnico in scala. Certo, avevo perso la tridimensionalità del Lego ma avevo ottenuto un massimo controllo su tutto quanto mi veniva in mente. Cosí, potevo disegnare autentiche città con la loro topografia, reti stradali e tutto quanto mi veniva in mente, sempre con il supporto dei libri di geografia che i miei mi regalavano ogni tanto. Con il passare degli anni, dopo l'arrivo del primo computer a casa e l'acquisto di un software di design in 2D che trovai in un centro commerciale, a 12 anni ho iniziato il mio viaggio nel mondo del CAD, che mi permetteva maggior dettaglio e precisione. Poi, con l'arrivo dei software 3D finalmente, sono arrivato a quello che faccio adesso. Le idee sono state sempre li, quelli che sono cambiati sono i mezzi a disposizione. 

Come si incontrano e si mescolano oggi le varie forme di arte?
Oggi viviamo nell'era della democratizzazione della cultura. Sia dal punto di vista del creatore, che ha a disposizione tante nuove forme e mezzi, sia da quello del consumatore che non si accontenta semplicemente di consumare arte, ma che cerca di diventare creatore a sua volta. Quindi il miscuglio è qualcosa di normale oggi giorno. Io direi che le forme di arte che noi conosciamo come pure in realtà non lo sono state mai.

Il tuo è un lavoro al confine fra fotografia e architettura, immagine e struttura: ci puoi spiegare meglio il rapporto che hai con queste espressioni artistiche?
La fotografia oggi è in essenza digitale e permette al fotografo di non sentirsi in obbligo di stare attento al momento, visto che può fotografare tutte le volte che vuole, quasi senza limiti. L'architettura, invece, è diventata un'altra forma di arte, vicina alla scultura: dal momento che i palazzi piú convenzionali già ci offrono quanto è necessario per vivere e lavorare, il creativo in architettura deve dare alla propra arte un'altra funzione, piú legata allo scandalo, piú pubblicitaria. L’immagine è in constante evoluzione e la struttura è ogni volta piú complessa, tanto da permettere all'uomo di arrivare a costruire elementi di ingegneria impossibili pochi anni fa. Comunque, esiste un desiderio che accomuna noi tutti, fotografi, architetti, ingenieri ed artisti, ed è quello di poter influenzare la contemporaneità con le nostre creazioni. Dove per contemporaneità intendo lo "snapshot" della condizione umana nel momento presente.

Quali sono i paesaggi futuri che immagina Victor: quale forma prenderanno secondo te i paesaggi delle nostre metropoli?
Mi sembra logico pensare che vivere in città avrà un profilo di utilità che non avrà vivere in campagna. Il bello delle città è l'enorme densità umana che permette il costante interscambio culturale e di informazioni. D’altra parte, vivere in città ci allontana della vita, dalla natura, dagli insetti, dalle avversità climatiche. L'uomo di città ama le comodità, come scendere un attimo al supermercato sotto casa per acquistare un po’ di formaggio invece di comprarsi due mucche e farselo da sé. Per cui, se questa dinamica dovesse prendere piede, vedremmo che nel futuro tutta la gran parte dell’umanità sceglierà di vivere nelle città che saranno sempre più grandi. Perlomeno quelle che hanno un territorio per espandersi, o piú dense e alte per quelle che non lo hanno. 

Ci sono altre possibili evoluzioni sostenibili?
Esiste un altro aspetto che potrebbe aprire alla strada opposta e contraria. In fondo, infatti, qualsiasi città è soltanto una macchina per fare soldi e, se il cittadino si dovesse rendere conto di essere un semplice ingranaggio che serve solo a permettere ad altri di produrre reddito sulle proprie stesse spalle, potrebbe maturare un tale livello di frustrazione da arrivare ad abbandonare la città. In tal caso potremmo assistere ad un progressivo spopolarsi delle metropoli a vantaggio delle campagne. In fondo, forse, parlare di futuro è piuttosto inutile, dal momento che ogni futuro ha un altro futuro davanti a sé che potrebbe stravolgere il suo passato.

Margot Frank

Le brume della Langa per raccontare la paura delle streghe<br><small>by Redazione</small>



In occasione dell’uscita su Itunes di Masca vola via di Simona Colonna approda su Youtube il videoclip della canzone che da il titolo al cd.
Un brano originalissimo con cui Simona, fra leggende e memorie infantili, affronta il tema dell’emarginazione sociale e delle streghe. La regia del videoclip è di Manuele Cecconello.
Giocando con il suono di una voce teatrale e sempre molto espressiva e quello del suo violoncello, Masca vola via racconta in dialetto piemontese le antiche storie di quelle figure di donne, fra leggenda e storia reale, a cui il volgo attribuiva, nel bene e nel male, la capacità di incidere magicamente sulla realtà. Masca vola via, insomma, è un brano intriso di quella curiosità e inquietudine che provano i bambini quando i grandi raccontano loro storie paurose sospese tra realtà e leggenda. “Simona - ci racconta il regista - mi ha portato nei luoghi della sua infanzia, quella Langa brumosa che d’autunno si accende di colori “fauves”… e mi ha accompagnato anche nelle cascine abbandonate che una volta erano popolate da famiglie di contadini e vignaiuoli. Dentro a quegli spazi bui una volta custodi di botti e bestiame, pareva proprio vi dimorasse lo spirito di quella masca che tanto aveva spaventato Simona bambina e che ora poteva ritornare fantasma attraverso la musica.”

Redazione
CINEMATICA: IL FASCINO DELLA MUSICA PER il cinema<br><small>by Redazione</small>



Il 25 gennaio scorso l’Auditorium Parco della Musica di Roma ha ospitato Cinematica, una serata ideata da Marco Testoni e prodotta da Helikonia e dedicata alla musica per il cinema: i compositori Marco Testoni, Michele Braga e Giancarlo Russo hanno condotto il pubblico in un viaggio fra le sonorità di quel territorio creativo tra musica e arti visuali di cui l’Italia vanta nomi illustri, ma soprattutto una fertilissima scuola: tre musicisti, tutti accomunati da un percorso artistico legato alla musica per immagini con una forte componente evocativa. Elementi che si sono espressi, vuoi nella ricerca ritmica e visionaria della musica di Marco Testoni; vuoi nell'intensità e dinamica della scrittura di Michele Braga; ma anche nell'eleganza onirica dei brani di Giancarlo Russo. Ha condotto la serata una frizzante Maria Luisa Lafiandra. In programma musiche originali, ma anche reinterpretazioni di brani di maestri della colonna sonora quali Ryuiki Sakamoto, Ennio Morricone, Piero Piccioni. Ospiti della serata due protagonisti del cinema italiano: il compositore Umberto Scipione (Benvenuti al Sud, Benvenuti al Nord, Un Boss in Salotto) ed il regista e compositore Stefano Reali (Caruso, Lo scandalo della Banca Romana). Sul palco con Michele Braga ci sarà anche The Niro che a febbraio rivedremo a Sanremo. La serata apre emblematicamente con Ce l’hai un minuto, un corto esilarante di Alessandro Bardani che ha all’attivo numerosissimi  premi.

Redazione

Il video della settimana