L'Artmodùl: intervista a Ricardo Macias<br><small> by Margot Frank</small>


Trasfigurazioni ceramiche, trasformazioni e metamorfosi che abbracciano il tema del cambiamento legato a ciò che ci circonda e alla stessa umanità. È questo il tema della mostra Mutazioni dell’artista messicano Ricardo Macias, in esposizione a Roma dal 2 dicembre presso lo show room Giulio Cesare (viale Giulio Cesare 73, Roma. Ingresso libero, www.mutazioniart.com): un percorso di diciannove opere in ceramica, un viaggio tra i colori delle proprie radici culturali e le visioni anche tattili di una contemporaneità futurista realizzato con la tecnica dell’artmodùl che, con magneti applicati sul retro delle tessere che formano l’opera, permette allo stesso spettatore di riadattare la creazione secondo la propria stessa sensibilità.
Il vernissage è in programma venerdì 2 dicembre dalle ore 19.00 e la mostra sarà aperta fino a domenica 4 dicembre. 

Abbiamo sentito l'autore....


Ricardo Macias: la sua arte ruota attorno all’idea dell’Artmodùl: come le è venuta questa idea tanto particolare?
Artmodùl nasce da una serie di sperimentazioni, nate dall'osservazione della geometria riportata in tutte le cose. Iniziando dagli atomi.
Rendere visibile e modulare i dettagli, le texture anche biologiche.
Rappresentarle su piani verticali;  l'uso delle calamiti in un contesto artistico, mi è sembrato potesse essere curioso ma soprattutto più "idoneo", parlando appunto di mutazioni, necessitando di renderle visibili al meglio a me stesso ed al pubblico.

Quali sono gli elementi che nutrono, alimentano e ispirano la sua declinazione dell’Artmodul?
Si parte dalle texture, dalle masse. Dal renderle simbiotiche tra loro ed inserite in un contesto rielaborato ed adattato (fondo metallico).
La creta che diventa ceramica, tessera modulare, scultura, plasma e si lascia plasmare da un movimento "sottinteso", per esprimersi in quelle che chiamo " composizioni soggettive".

Lei è da molti anni in Italia: quanto c’è di questo Paese nella sua arte?
Trovo che l'Italia sia uno splendido paese, ricco di storia ed arte.
In questo contesto, venni stimolato da quella scintilla di creatività.
Imparai a confrontarmi con il bello che voi avete in questo paese, e quello che sentivo avere un respiro da un lato internazionale riguardo al design ed all'uso di un certo tipo di modellazione ceramica (purtroppo spesso si pensa ai ceramisti solo come coloro che manualmente creano set da caffè o bomboniere per matrimoni. La ceramica qui è molte volte fraintesa, e vista in maniera più settoriale), e naturalmente, dal mio paese, il Messico, nel quale sono cresciuto tra geometrie e colori nei tessuti di tradizione maya ed aztechi, e di un linguaggio anche molto "tecnico" e di "sintesi" forse maggiorente presenti.
Uno per tutti, Gustavo Pérez.

Come immagina il futuro dell’arte? E il suo futuro? quali sono i sogni artistici che vorrebbe poter realizzare?
IL futuro dell'arte? L'arte per essere tale, deve vivere al pari al futuro dell'umanità. E' un elemento imprescindibile ed intrinseco all'essere umano. Senza arte non c'è vita. Non c'è racconto. Non ci sarebbe il "linguaggio". Verrebbero limitate le "visioni ed interpretazioni". Amo la sperimentazione e l'indagine... magari utilizzando ancora "artmodùl" non soltanto rivisitando le geometrie, i concetti, ma anche altri temi. Magari più vicini a contesti umanistici. Valutare se "artmodùl" possa nuovamente essere lo strumento più idoneo a questo tipo di racconto. Sono un tipo molto analitico......
Il mio futuro quindi, lo vedo sempre rivolto alla ricerca, allo studio, alla riprova ed allo smantellamento dovuto anche a cambiamenti della mia percezione…. perché anch'io naturalmente, mi trovo dentro le "mutazioni!"
Faccio parte del cambiamento... e la cosa mi incuriosisce e stimola moltissimo. Mi piace pensare che le mie opere, si possano adattare negli ambienti specifici delle persone.
Immaginare possano respirare del loro stesso fiato. Qualcosa che si possa inserire nella quotidianità, perchè il design, è  anche arte costruita intorno al singolo, ai suoi spazi. Condividendoli.
Stimolandoli.
Credo molto al valore tattile delle mie opere, alla memoria che lascerà sotto le dita.

Margot Frank



Esce Cronaca di una Passione<br>Il racconto di una vita pignorata<br><small>by Barbara Bianchi</small>


Asciutto, intenso, devastante. Questo è Cronaca di una passione, il nuovo film di Fabrizio Cattani che, dopo aver scoperchiato il dramma dell’infanticidio dal punto di vista altro della follia di chi quel crimine ha commesso, questa volta guarda da vicino la tragedia di chi non riesce a reggere alla violenza della crisi economica e si suicida. O meglio, scandaglia il dramma di chi viene schiacciato da un ingranaggio mortale che sembra non lasciargli scampo. E lo osserva senza fronzoli, senza patine sentimentalistiche. Così, nella sua devastante violenza.
Giovanni ed Anna sono due anziani coniugi: due persone che hanno lavorato tutta la vita senza sosta per portare avanti la loro piccola attività. Una trattoria: signorile senza mai essere di lusso, dove i clienti tornano perché Anna cucina tanto bene. Ma la crisi economica non guarda in faccia a nessuno. E, nei momenti più bui, Anna ha preferito pagare gli stipendi dei suoi pochissimi collaboratori piuttosto che i contributi o, peggio, piuttosto che licenziare persone che, prima che stipendiati, sono oramai diventati amici, parte della famiglia. Sì, perché questo è il senso di un’impresa familiare: che si è tutti, in fondo una grande famiglia. In cui uno solo però è responsabile di fronte al Fisco. E sono spesso le imprese familiari le prime a soccombere di fronte alla cieca mannaia della crisi economica. Il prosieguo della storia è semplice quanto allucinante: lo Stato pretende il pagamento dei contributi non versati, Equitalia ci mette sopra un carico insostenibile e ad Anna e Giovanni viene in quattro e quattr’otto pignorata e messa all’asta la casa. Che va in fumo così, per poche migliaia di euro. Senza lavoro, senza casa, Anna e Giovanni si ritrovano in una casa famiglia, ognuno in una stanza. Perché quando perdi tutto perdi la possibilità anche di vivere da marito e moglie. E così, gli ultimi soldi in tasca, si concedono un piccolo grande viaggio, in un bell’albergo dove possono finalmente tornare a dormire assieme. Ed è l’ultimo viaggio.
Fabrizio Cattani disegna più che dipingere questa storia: pochi tratti semplici e diretti. Un film che si avvale di due grandi interpreti, Vittorio Viviani e Valeria Ciangottini, che sanno percorrere con autenticità i passi di questa vicenda raccontata senza una parola di troppo e che lascia senza parole.
Da vedere…


Barbara Bianchi
Lessing made in Italy<br> intervista ad Antonella Panini<br><small>by Margot Frank</small>


È in questi giorni in corso un progetto articolato quanto ambizioso. Si tratta di Lessing made in Italy: partendo dalla messa in scena al Teatro Ruggeri di Guastalla del capolavoro di Lessing Emilia Galotti, Ars Ventuno Drama ha organizzato incontri con le scuole, conferenze, visite alla riscoperta dei territori in cui Lessing ha ambientato il proprio lavoro drammaturgico. Insomma: il teatro diventa solo il punto di partenza per una riflessione ed una riscoperta culturali più ampi. Abbiamo scambiato due parole con Antonella Panini, regista ed ideatrice del progetto, un’artista piena di idee e di energia.

Lessing made in Italy: il teatro si incontra con la cultura del sociale e con la riscoperta del territorio. Come vi è venuta l’idea?
Il teatro è cultura del sociale ed espressione del territorio, è evento politico e di incontro di saperi. Lavorando con le giovani generazioni e contribuendo alla creazione di un futuro credibile, diventa per noi un obbligo condividere a più livelli gli stimoli e i valori che uno spettacolo può veicolare.
Nel testo Emilia Galotti che Lessing scrive nel 1772, i personaggi sono caratteri aristotelici portatori di valori assoluti. Emilia, al termine dello spettacolo, dichiara. con il candore di una adolescente offesa. "è la seduzione la vera violenza". Sono parole che raccolte e ricontestualizzate oggi diventano oggetto di conversazione, riflessione e ricerca. Su questo tema si è mobilitato con noi il centro antiviolenza di Reggio Emilia Non da sola che attraverso conversazioni con i ragazzi entra nel merito dell'argomento per creare consapevolezze.
Un altro aspetto è quello dato dall'ambientazione dell'opera; i ragazzi di Guastalla vedranno e studieranno uno spettacolo che un eminente filosofo e drammaturgo del settecento ambienta proprio nello loro città.
Scoprire il luogo in cui si vive, la sua storia e il suo patrimonio artistico e culturale è oggi più che mai necessario per fare innamorare i giovani della realtà. Nell'epoca della globalizzazione dei pensieri, del tempo e dell'immaginario, nell'epoca delle fughe dal contingente in virtù di un futuro visionario, un ancoraggio solido con la realtà è auspicabile.
Il progetto Lessing made in Italy, che coinvolge 600 studenti delle scuole secondarie, è stato voluto dall'Amministrazione Comunale di Guastalla unitamente a me e all'associazione che dirigo. Intorno a un grande classico della letteratura tedesca, pressoché sconosciuto in Italia,
è nato questo imponente progetto sostenuto dalla Regione Emilia Romagna, patrocinato dal Consolato di Germania e realizzato grazie alla collaborazione di tante associazioni culturali del territorio.

Trasmettere i grandi classici alle donne e agli uomini di oggi: quali sono state le scelte di regia
i classici, in quanto tali, parlano all'uomo dell'uomo e sono ad esso sempre contemporanei. I temi dell' Emilia Galotti oggi hanno diverse sfumature ma mantengono gli stessi valori assoluti. Ciò che cambia è la percezione di quei valori di noi donne e uomini del 2016. Pertanto, nella messinscena di questo capolavoro per il pubblico italiano di oggi, non ritengo necessario alcuna riattualizzazione o riambientazione della storia perché i rimandi sono chiarissimi. D'altronde una lettura filologica dell'opera risulterebbe, oggi, altrettanto fuori luogo. Ho scelto dunque di portare questa Emilia Made in Italy in una dimensione temporale assoluta, com'è quella della tragedia, mantenendo una qualità stilistica dichiaratamente italiana e un impianto visivo di gusto contemporaneo. E' stata determinante per questo allestimento, la figura di Cristina Spelti che ha realizzato l'installazione video che procede parallelamente alla struttura drammaturgica di Lessing. Il punto di partenza è "la vita come condanna"; sono due le maledizioni lanciate sul principe Hettore Gonzaga che lo costringono a vivere nella reiterazione di quella tragedia, quella dell'amante tradita contessa Orsina e quella di Odoardo Padre di Emilia. Lo spettacolo parte dunque dal tempo remoto dell'oblio dell'incubo permanente del principe, per attraversare il tempo passato del ricordo, arrivare al tempo presente della commedia e tornare al tempo assoluto della tragedia.
Nuovi testi e testi classici: quando scegliere i primi e quando i secondi e perché
L'arte è una urgenza artistica e il teatro è arte. Credo che sia questa urgenza a determinare quali testi mettere in scena. I nuovi testi hanno ricevuto in eredità i classici e da questo fatto non possono esimersi. Ma l'uomo non può esimersi nemmeno di rappresentare se stesso ed è importante che continui a farlo in sempre nuove, o rinnovate, forme.

La nostra è una rivista che va alla ricerca dello stupore che sa suggerire la creatività: quali sono stati gli elementi magici di questo progetto e di questa produzione
Il teatro è di per se stesso magia, il palcoscenico traduce l'impossibile in possibile. Ma in questo progetto la vera magia sta nell'innamoramento contaminante che il progetto stesso consente e che traduce l'emozione in creatività.  I giovani che abbiamo assunto per la promozione e organizzazione del progetto raccolgono ogni stimolo per farlo proprio e tradurlo in quello che è il loro progetto di una grande contaminazione mediatica, con video conferenze, siti, immagini, video pillole, campagne virali. che stupiscano e seducano. Tutti si innamorano così del testo, dei personaggi, dello spettacolo, del lavoro stesso che una produzione come questa, che si radica sul territorio, richiede. E davvero vedendo i loro occhi illuminarsi e le mani scorrere rapide sulle tastiere dei computer, tra entusiasmo ed emozione e vedendo crescere a dismisura l'interesse per questo lavoro mi stupisco ancora di questa inimmaginabile magia.

Una domanda pericolosa: come vedi il futuro del Teatro italiano?

Dovrei forse prima conoscere come sarà il futuro della nostra società per provare a rispondere. In una società autoreferenziale come la nostra il teatro, volente o nolente, deve adattarsi a includere la società di cui è espressione. In questo mi associo alle parole di Gabriele Vacis, che in qualità di direttore dei Teatri di Reggio Emilia è partner del nostro progetto, che pensa a un teatro non più esclusivo, ma inclusivo. Se è vero, com'è vero, che c'è più gente che fa teatro di gente che va a teatro, e che i teatri si riempiono solo quando le comunità locali sono direttamente coinvolte e partecipanti, ritengo che il teatro italiano, debba passare da un teatro partecipato per poter ritornare ad essere riconosciuto come entità culturale. Non a caso gli eventi pop sono molto seguiti. Il teatro, probabilmente, dovrà devenire più popolare senza abdicare al proprio mandato culturale. Popolare non è sinonimo di teatro scadente, a basso profilo, ma di teatro per tutti e di tutti. Ci sono molti esempi europei di grandi ensemble teatrali che gestiscono teatri facendo più spettacoli ogni giorno dell'anno. Ma per raggiungere questo, che auspico e desidero per il teatro italiano, la cultura deve diventare un'impresa di promozione di se stessa.

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