La colta<br> spettacolarità di<br> Discover Bulgaria<br><small> by Margot Frank</small>


Spettacolarità uguale ad intrattenimento. Spesso ma non sempre. E’ il caso di Discover Bulgaria, l’evento che ha inondato di ritmi musica e luce niente po’ po’ di meno che il Campidoglio di Roma per festeggiare la Presidenza Bulgara del Consiglio dell’Unione Europea. Un vero e proprio inno al valore della cultura come strumento di dialogo fra i popoli, oltre la politica. Un proclama già ampiamente presente nelle dichiarazioni degli scorsi giorni dell’Ambasciatore Marin Raykov (si veda in merito il bel contributo di Giorgio Pezzana), che gli spettatori hanno potuto toccare con gli occhi, la pelle e le orecchie in occasione della serata del 28 maggio a Roma. Molto raffinato il lavoro coreografico del gruppo folklorico dei Chinary che, fra danza e tamburi, hanno ripercorso la grande storia della tradizione culturale delle origini della Bulgaria. Quella cultura che, partendo dalla storia dei Traci, ha saputo trasmettere alle popolazioni slave orientali, grazie all’invenzione della scrittura cirillica, il cristianesimo. Perché questo popolo, quello bulgaro, che ha mutuato la propria ricca cultura dall’incontro fra la tradizione dei Romani, dei Traci e dei popoli slavi, è la prova vivente di come l’identità sia il magico frutto dell’incontro, della scoperta. Di uno sguardo curioso e disponibile. Sempre suggestivo il suono del Kaval nell’interpretazione di Kostadin Genchev.
Un racconto filtrato anche attraverso le immagini veramente spettacolari a firma del MP Studio di Sofia che ha disegnato sul Palazzo Senatorio del Campidoglio le tracce principali di questa storia. Emozione folgorante di un videomapping veramente accurato e visivamente coraggioso che si è lasciato nutrire delle splendide musiche di Peter Dundakov e del suo nuovo album BooCheMishin cui ha magicamente intrecciato i suggestivi suoni del Mistero delle Voci Bulgare e la voce di Lisa Gerrard che i più conosceranno per l’interpretazione della colonna sonora de Il Gladiatore di Hans Zimmer.
Ci sembra giusto ricordare che l’evento era realizzato dall’Ambasciata di Bulgaria a Roma e dall’Istituto Bulgaro di Cultura con il supporto della Fondazione Plovdiv 2019 (che insieme a Matera sarà nel 2019 Capitale europea della cultura). E grazie anche al prezioso contributo di Unicredit Bulbank.
Accentrare le periferie: cultura e coesione sociale al Tedx del Politecnico<br><small> by Francesco Ferri</small>


Diciamocela tutta: il nuovo cool è la periferia. I nuovi centri di ritrovo, coworking ed artisti emergenti pullulano nei confini urbani. Ed è proprio per questo che mi incuriosivano molto le Conferenze del Tedx del Politecnico e ho deciso di andare ad ascoltarle.

Anche perché il focus della discussione era la ridiscussione delle le priorità dell’amministrazione comunale, in quanto a politiche sociali per la coesione cittadina. E, vivendo a Milano, essendo, magari per poco, ancora un under 30, volevo capirci qualcosa. Tuffarmi nelle domande, cercar di percorrere le risposte. Chissà che questa discussione possa essere un ragionamento utile anche ad altre Città, ad altre Periferie… Sta a voi valutarlo!

Ha senso, per esempio, parlare delle scuole di quartiere come “nuovi hub per le iniziative culturali”, come dice Gabriele Pasqui, delegato alle politiche sociali del Politecnico. Sì, quando si vuole pensare a soluzioni alla portata di mano per poter riconnettere e dare un’identità alle mura cittadine. La partecipazione attiva crea e riqualifica i punti di ritrovo, pensiamo ai vari Mare Culturale Urbano, al Centro Culturale Cascina e le social streets come NoLo o il Quartiere Bovisa. E questo è senza dubbio un interessante punto di partenza.

Fra gli interventi immancabile quello dell’Assessore alle politiche del lavoro del Comune di Milano, Cristina Tajani, che ha centrato la sua riflessione sulla storica identificazione dei quartieri periferici come i rifugi degli operai delle catene di montaggio, cercando però di individuare nella digitalizzazione dell’economia una grandissima opportunità di cambiamento e ristrutturazione. Perché? Beh, le nuove generazioni hanno sgomitato per fare buon uso del digitale: dalla sharing economy, il fablab Polifactory della stessa università, i maker spaces che creano nuovo commercio ed attività sociali. Tutto ciò porta ad una riqualificazione che fa risorgere contesti che si credevano impossibili da cambiare. Molto interessante la chiave proposta: allontanarsi dall’idea che rigenerazione sia uguale alla costruzione dei grandi centri commerciali. E’ stata rimessa a nuovo l’ex Ansaldo ed è stato creato il BASE di via Tortona. Entrambi oggi rappresentano l’incredibile successo di questa formula di recupero per fini culturali. Vengono organizzate mostre, eventi e spazi di creatività. In effetti è un interessante modello, sicuramente di spessore Europeo. Soprattutto, un modello esportabile.
Ora il nuovo modello emergente e vincente, anche in quanto a sostenibilità economica per l’amministrazione locale, è quello dei mercati comunali coperti (i vari Lorenteggio, Wagner, Morsenchio…), dove lo spazio commerciale si affianca a quello dello street food per favorire l’aggregazione e gli eventi culturali.

Un altro intervento di grande spessore è stato quello del grande autore e regista Elio de Capitani, che si è soffermato sul rapporto tra attori e pubblico nel mondo teatrale. “Le storie importanti sono raccontate nelle periferie della città”, ci dice. Shakespeare metteva a in scena opere che rappresentavano il suo stesso pubblico pieno di pregiudizi, razzista e misogino.
Le periferie potrebbero rappresentare l’oggetto di un tipo di opera d’arte come Angels in America, spettacolo che sottolinea la paura del progresso, del mutamento demografico e del mix delle etnie. Secondo il regista, il teatro in Italia può affermarsi come antidoto per resistere a ciò che sta succedendo nel mondo. Cercare di fermare il progresso o il cambiamento è il paradosso dei nostri giorni, fa parte degli slogan dei partiti più votati e tutto ciò dovrebbe spingerci ad una riflessione profonda.


Ci siamo portati a casa molte riflessioni, forse una conclusione: la periferia deve vivere un nuovo inizio, rappresentando non più il lontano, il degrado, l’abbandonato, ma una vera e propria spinta nuova per la rinascita urbana e la partecipazione cittadina.

by Francesco Ferri

* nella foto Cristina Tajani

Nella Cultura<br> il futuro di<br> un'Era Globale<br><small> by Giorgio Pezzana</small>


La Bulgaria ha scelto Roma, quindi l'Italia, per portare in piazza il suo “Discover Bulgaria”. Non ha scelto Parigi o Berlino. Ma Roma. Riconoscendo in tal modo implicitamente il ruolo culturale che l'Italia riveste in Europa e nel mondo. E questo ci deve inorgoglire. E l'ambasciatore bulgaro Marin Raykov ha voluto interpretare la dimensione culturale come l'unico vero patrimonio capace di parlare alla gente, a prescindere da lingue e nazionalità. Probabilmente ha ragione. E mi riporta alla mente la riflessione di un amico musicista al rientro da un suo tour internazionale allorquando mi disse: la musica può dare vita ad un villaggio globale ove con la musica ci si parla e ci si capisce. In quel villaggio, le emozioni vengono dalla musica, la musica può esprimere speranza o frustrazione, amore o rabbia, ma alla fine è bellissimo, quando gli strumenti tacciono e ci si guarda, scoprire di appartenere a mondi diversi, eppure di avere colto tutti insieme le stesse vibrazioni in quello stesso momento. In senso più ampio, quel villaggio globale può essere rappresentato da una comunità più grande che attraverso le più diverse espressioni può confrontarsi e ritrovarsi. Certo, questi sono o dovrebbero essere i principi filosofici della cultura, quelli che non hanno bandiere o colori, appartenenze o convenienze. Poi, tutti quanti sappiamo che non è così. Ogni giorno ci imbattiamo nella cultura fatta per la politica, o per il denaro o per narcisismi personali fini a loro stessi, che anziché accomunare escludono, che anziché condividere dividono. L'arte contemporanea è spesso la casa di chi non sa fare nulla, ma lo sa fare molto bene. E la gente è confusa e tradita. Perchè la cultura è anche bellezza e la bellezza, quando è tale, viene sempre in qualche modo palesata. E' riconoscibile. Ecco perchè è importante quanto dice l'ambasciatore bulgaro laddove afferma che la cultura può essere lo strumento attraverso il quale la gente può percepire una dimensione europea. Perchè la cultura, quella fatta di bellezza, può accrescere l'orgoglio per le nostre origini, senza chiederci di rinunciare ad esse ma, al contrario, affiancandoci a quelle altrui, può darci la consapevolezza di un'identità e l'arricchimento che deriva dalla conoscenza. Andando a formare una comunità globale che attraverso il volteggio di una ballerina o l'accordo di una chitarra può vivere all'unisono una stessa emozione.

by Giorgio Pezzana
I molteplici ritmi <br>delle<br> Mujeres Creando <br><small> by Marco Buttafuoco</small>



Voce, fisarmonica, violino, chitarra e percussioni; è, più o meno, l’organico di un gruppo di balli popolari. Fa pensare a balere, a feste di paese d’antan. Come molti hanno sottolineato, il fattore principe di questo disco è la sua ricchezza ritmica, la continua varietà di pulsazioni, gli scarti, l’imprevedibilità. Piccoli spostamenti ritmici che raccontano, per usare le parole di Gaber, i piccoli spostamenti del cuore di cui sono tessuti i testi. Un esempio? La seconda traccia, Per sempre e ancora, delicata cronaca degli che precedono la nascita d’un amore che non riesce però a nascere, raccontata da un ritmo trascinante, popolaresco, mediterraneo. 
Anche Ex Valzer è giocato su questa strano mix di ritmi (in questo caso balcanici, o Klezmer) e di sentimenti sfumati, di attese e sospensioni.  Un ballo di piazza per raccontare l’incertezza della vita del cuore. Così Tangorà e Rosaspina (arie di Tango, con quel tanto di melodramma che non guasta mai in una storia d’amore).  
Un’altra prova di questo muoversi fra cultura popolare e racconto di nuovi sentimenti, di nuove stori e femminili è la sesta traccia, Je Parl’E Te. Il testo napoletano e l’andamento melodico del testo dicono del legame che le cinque musiciste hanno con la musica della propria città d’origine, dalla canzone classica a Pino Daniele. La storia, sottolineata da armonie aspre e talora dolenti, racconta un amore fra due donne.  
Particolarmente interessante è anche la riproposizione di Remedios, un vecchio brano di Gabriella Ferri, doveroso omaggio a una delle più grandi artiste italiane. La cantante romana, come le artiste di Mujeres Creando, si muoveva sempre ai confini fra dramma e ironia, fra malinconia e melodramma Più “laterale”, rispetto a questa linea di esplorazione fra poesia e musica popolare, è il sospeso Once more, che immerge l’ascoltatore in un’atmosfera sospesa e inquieta, quasi nebbiosa. Il brano in questione chiude il disco, quasi a indicare una strada diversa per questo ottimo quintetto. 
Davvero un bel disco. 

by Marco Buttafuoco
Cinema 4.0:<br> il profumo del passato in pellicola<br><small> by Margot Frank</small>


In un tempo, il nostro, affogato fra effetti speciali e immagini saturate. In un tempo cioé di emozionalità surfetate e drogate, ogni tanto ci si dimentica del fascino dei colori sbiaditi e della magica bidimensionalità del bianco e nero. Eppure anche questa rete ipercinetica e farraginosa qualche volta ci regala la sosta refrigerante della memoria. E così pullulano i gruppi si Facebook dedicati a raccogliere, da vecchi album di famiglia e scatole polverose, le immagini perdute di città che, nel frattempo, sono mutate e stravolte nei loro lineamenti sostanziali. La realtà è che, consapevoli o meno, tutti noi abbiamo bisogno di radici e di memoria. Ci piace in fondo buttare un occhio al come eravamo, dare un volto e un disegno ai racconti dei padri e dei nonni, cercando di integrare il bianco e nero con il profumo dei cibi e della polvere.
Memorie nostalgiche e preziose che rendono il recupero degli archivi video quanto mai indispensabile. E, mentre molto si è fatto fin’ora per recuperare i grandi capolavori del cinema di ieri e dell’altro ieri, poco si era fatto fin’ora per salvare la memoria a noi più vicina: quella degli archivi di famiglia, ma non solo. Immaginiamo il vasto patrimonio dei primi  documentari scientifici, di quelli che oggi hanno perso luce e colore ma soprattutto attualità. Ma sono testimonianza precisa di un’epoca storica, di ricerche e curiosità che hanno disegnato il tempo attuale. Pensiamo anche a tutti quegli archivi dei servizi televisivi di cronaca di ieri e dell’altro ieri ancora su pellicola. Si tratta della nostra storia. Ebbene questo è il lavoro che un operatore visionario e coraggioso ha deciso di affrontare dall’interno. Si tratta di Tarcisio Basso, patron di Running Tv, che, con il progetto Cinema 4.0, grazie al supporto della Regione Veneto, ha deciso di mettere le mani su tutto un mondo di archivi altrimenti destinati al macero. E così ha costruito in quel del padovano un vero e proprio polo del restauro dell’audiovisivo: chilometri di pellicole da salvare e da restituire ai figli e ai nipoti. E attraverso i quali ricordare e riscoprire un’epoca vicina e pericolosamente lontana.
Diciamo che in un prossimo viaggio ci piacerebbe andare a trovarli e annusare da vicino questi archivi. Con una convinzione: anche il cinema storico ha molto da guadagnare da un recupero così attento della memoria collettiva. Intendo dire che un polo di questo tipo ha la possibilità di compiere un lavoro così curioso e attento del patrimonio culturale e audiovisivo di ieri e dell’altro ieri da poter affrontare con sguardo rinnovato anche la riscoperta di alcune pieghe nascoste del cinema storico.

by Margot Frank

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