Intervista a Donella del Monaco, anima Prog<br><small> by Margot Frank</small>



Roma, 15 gennaio: un grande concerto per ricordare Marcello Vento è per noi la preziosa occasione per un incontro veramente magico, quello con Donella Del Monaco: un nome d’arte che è già una promessa, una grande personalità di artista e di donna. A lei abbiamo voluto chiedere suggestioni dai tempi della nascita del Prog….

Con gli Opus AvanTra nel 1972 siete stati tra i primi in Italia a realizzare una coraggiosa contaminazione fra classica e rock con uno stile e idee apprezzati in tutto il Mondo. Stile che è divenuto caposcuola di una vera e propria scuola musicale. Eravate già consapevoli di fare una musica che a breve sarebbe stato chiamato Prog?
No, il nome Progressive è stato coniato 10 anni dopo. Però sapevamo che l'idea di collegare musica classica , rock, canzone e anche musica sperimentale non sarebbe morta con noi, perché la musica non si può chiudere in schemi ghettizzati, ha bisogno di estro e libertà.

Il Prog con voi, BMS, PFM, Le Orme, gli Osanna, i Saint Just di Jenny Sorrenti, il Balletto di Bronzo divenne ben presto un genere molto apprezzato sia in Italia che in Gran Bretagna. Ci potresti far entrare nelle atmosfere di quel magico periodo artistico e musicale?
Noi musicisti allora eravamo degli idealisti e pensavamo di cambiare il mondo con la nostra nuova musica, bisogna ricordare che lo spirito rivoluzionario del '68 era ancora vivo. Era bella l'idea che ci collegava un po' tutti di trasformare la musica ma anche la società. Anche gli altri gruppi che citi mescolavano momenti di musica della tradizione ( per esempio gli Osanna riferita alla tradizione napoletana) con il rock e le nuove sonorità . Insomma ci sentivamo come dei pionieri di una nuova sensibilità sia musicale che sociale.

A cosa attribuisci il fenomeno di questa grande ripresa del Prog che non è certo un nostalgico revival ma che viene in pratica scoperto dai giovanissimi oltre che nuovamente richiesto e apprezzato con il boom del Vinile da chi quel periodo ha già vissuto.
Lo attribuisco al fatto che il prog non è mai stata una musica commerciale, ma un nuovo modo di creare musica e comunicazione, il prog non è un genere musicale ma l'idea di creare nuove vie musicali. Se vediamo il prog come revival lo uccidiamo, dobbiamo invece reinterpretarne lo spirito innovativo e la voglia di sperimentare...

I dischi degli Opus AvanTra sono stati non solo distribuiti ma anche tradotti in tutto il Mondo. E quando hai fatto dei concerti all’estero hai scoperto di essere famosa come in Italia. Che effetto ti ha fatto sentire il pubblico giapponese cantare il italiano canzoni come il tuo Pavone.
Beh non me lo aspettavo… è stata una grande emozione sentire il rispetto e l'apprezzamento di tanti fan giapponesi : avevano con sé per autografarli vinili, interviste, foto… è stato bello perché Opusavantra non è mai stato un gruppo né commerciale né pubblicizzato: diciamo che i nostri dischi hanno camminato da soli, con la loro musica, senza clamori.

Jenny Sorrenti, moglie dell’indimenticabile poliedrico percussionista Marcello Vento, al quale viene dedicata questa grande serata al Planet, ti ha fortemente voluta a cantare con tutti gli Opus. Con Jenny eravate amiche? Avete progetti futuri'
Avevo conosciuto suo fratello Alan, mentre di Jenny avevo molto apprezzato i suoi dischi. Ora siamo diventate amiche perché è venuta al mio Chez Donella il salotto/laboratorio culturale che tengo a Treviso da cui è nata l'idea di un nuovo progetto di un CD dove collaboriamo in tre : Donella e Opus, Jenny Sorrenti e Osanna con Lino Vairetti, naturalmente la produzione sarà di Renato Marengo che ci seguirà in tutta la realizzazione del progetto, dato che è stato il mio iniziale produttore ed anche degli Osanna. E' bello poterci ritrovare tutti insieme e spero che riusciremo a creare qualcosa di affascinante.


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Margot Frank
La colonna sonora dei giovani che diventano grandi<br><small> by Margot Frank</small>


A fine novembre è uscito nelle sale Come diventare grande nonostante i genitori: commedia di Luca Lucini, con Margherita Buy e Givanna Mezzogiorno e con la colonna sonora di Fabrizio Campanelli, compositore eclettico e eterogeneo (che forse vi ricorderete per un celebre spot commemorativo di Calzedonia....) a cui abbiamo voluto porre alcune domande.


Cosa significa fare una scelta anticonvenzionale in musica?
Significa tradire le aspettative schiacciate su un'iconografia musicale e sonora che spesso rispecchia solo in piccola parte la complessità e l'apertura della sensibilità di un mondo, quello dei ragazzi, troppo spesso conformato allo sguardo della peggiore maturità adulta, fatta di disincanto, compromesso, se non proprio disagio. A una chitarra acustica si può affiancare tranquillamente un fagotto senza timore di non essere in sintonia con un adolescente e  anche con un'orchestra sinfonica o strumenti etnici si può seguire il racconto di una favola che a volte può essere pulita e con un lieto fine che non cerca compromessi al ribasso, ma punta direttamente al sogno. Ad esempio, assecondando il meccanismo narrativo della favola, una marimba o un santoor  possono veicolare un senso di minaccia o frustrazione proiettandolo nel fantastico e veicolando al contempo un senso di disattivazione e di controllo della stessa. Significa anche cercare di strutturare un racconto musicale che abbracci l'emotività senza cedere alla forma più banale di retorica del sentimento, rimanendo allo stesso tempo in un sentiero fiabesco che è inevitabilmente manicheo.


Sempre parlando di scelte artistiche: che cosa ha significato per te confrontarti con il mondo dell’adolescenza?

Riguardo alle canzoni ho cercato di far convivere tematica semplice e accessibilità melodica con cui sentirsi immediatamente familiari, ma allo stesso tempo sorpresi; pochi gli strumenti suonati dai ragazzi - quelli tipici di una band giovanile - ma un impianto e un carattere che rimanessero agganciati alla profondità di una colonna sonora e con il supporto sinfonico. Guardare col naso all’insù, cercando di rendere onore alle musiche che hanno fatto grande il cinema dei ragazzi, quello che in passato mi ha fatto sognare. Lavorare con loro è stato bellissimo, una ventata di energia pura. Leonardo Cecchi (Alex) che doveva sopportare un bel carico di responsabilità, ha dimostrato una maturità, una espressività e una passione incredibili, tirando fuori doti da vero leader vocale, non scontate per la sua età.


Quali i confini fra ispirazione e didascalico?

Sono gli stessi che dividono l’ordine dal disordine. Lo schema prevedibile è didascalia. L’inatteso, l’errore, è ispirazione. Diciamo che quest’ultima è un disordine ordinato.



Volendo fare una storia dell’ascolto e della creazione della musica per le immagini: come vedi il futuro della musica per immagini appunto. Dove stiamo andando?

La bellezza del percorso evolutivo della musica per immagini è la sua non linearità. Se la sua genesi affonda le radici nel sinfonismo tardo romantico e nell’opera lirica, rispettivamente negli ambiti di applicazione americano e europeo, il suo sviluppo ha abbracciato una notevole quantità di linguaggi e declinazioni, di novità timbriche e di sperimentazioni che hanno reso la musica applicata il luogo a mio parere più interessante di innovazione nella tradizione, nell'assenza di qualsiasi autoreferenzialità, e per questo, quindi, anche il luogo della massima sincerità espressiva. Credo che la forma musicale stia virando sempre più verso un carattere internazionale, sensibile a influenze armoniche e timbriche sempre meno localizzazbili, L'innovazione tecnologica ha scandito l'evoluzione sonora negli scorsi decenni e sicuramente continuerà a farlo anche nei prossimi, in un contesto in cui la produzione di nuovi timbri o strumenti è sempre più, in ambito informatico, alla portata di molti, a differenza di un tempo anche non troppo lontano in cui solo pochi e strutturati centri erano in grado di portare avanti la ricerca. Negli ultimi anni c'è stata una forse tendenza verso l'ibridazione fra austico e elettronico, una paletta timbrica molto ricorrente nelle sonorizzazioni, e penso che la sua spinta propulsiva non sia ancora terminata. C'è molto bisogno di matericità sonora e di calore, anche nel suono elettronico più spinto, anche se poi i modelli che tendono a imporsi sono imprevedibili e figli di scelte felici, se non proprio geniali, rese spesso possibili proprio dagli stessi registi.

Margot Frank
La leggerezza malinconica di Massimo Lajolo<br><small> by Alberto Molinari</small>


 “È un disco che ha a che fare con il Tempo: quello molto lontano di una bambina francese di cui rimane poco più che il nome; il sabato pomeriggio di un posto dove le cose sembrano non cambiare mai; quello dell’istante che si vorrebbe trattenere e che invece scivola via inesorabile; quello che sembra ritornare in un ciclo infinito di creazione, distruzione, trasformazione."
Con queste parole il cantautore torinese Massimo Lajolo introduce il suo terzo lavoro in studio. Un lavoro in cui, con un understatement e un garbo tutti piemontesi, la geografia dei luoghi disegna anche una geografia dell'anima, fatta di intimità segrete, malinconie sottili, sentimenti disarmati, stanze in penombra, reminiscenze d'Oltralpe.
"Cinque minuti" apre con una terzina di pianoforte che rimanda a "La donna cannone", quasi a voler definire fin da subito un territorio, un'ambientazione, un'appartenenza.  Eppure il linguaggio di Lajolo ha la sua cifra non tanto nella poetica serrata e tagliente cara a De Gregori quanto negli spazi dilatati, negli appoggi leggeri, nella parola sussurrata, e il brano si svolge in un tono dimesso, quasi prosaico nella sua esposizione glabra: è una lenta preparazione a qualcosa che pare non arrivare mai, un piano-sequenza cinematografico senza effetti su una scena di poco conto. Quasi una falsa partenza. 
Ma già con "Tutto quanto ritorna" la musica cambia e si entra nel vivo del disco. Le parole si fanno improvvisamente incisive, il ritmo teso, e gli innesti vocali arabeggianti di Khalid Zarou portano il brano in uno straniante altrove. "Il ritmo lento del sabato", con la sua andatura indolente, ha il tepore di un raggio di sole nel primo mattino e colora a tinte tenui una scena impressionista in cui si inizia respirare profumo di Francia. "Leggere il pensiero" è una rock ballad serrata in cui l'elettrica nervosa tradisce l'influenza del Neil Young di "Everybody knows this is nowhere". "Beatrix" torna a respirare di attese, di fragili certezze e di tempo a venire e si dischiude in un delicato ritornello in francese. "Noioso blu" appoggia la sua cantabilità su nostalgie in minore, preparando il terreno alla deliziosa "Chanzen", una ballata interamente in francese scandita dall'andamento cullante di un banjo in odore di modernariato. "L'anello la sirena" è onirica e sospesa e nuota in un riverbero di chitarre, ricordi e sogni. Insieme alla title track, uno degli episodi musicalmente più ricercati dell'album. L'interlocutoria "Milano da vivere", con il suo linguaggio ordinario e le sue immagini in scala di grigio, arriva come un brusco ritorno al quotidiano e, pur essendo un episodio minore, ha una sua funzionalità nell’equilibrio d’insieme. "Fermare il tempo" torna al tema centrale del disco giocando con nostalgie sudamericane, mentre la melodia retrò della già nota "Non so resistere", interpretata da Laura Giandomenico, prepara alla chiusura intima de "La differenza", dove Lajolo, accompagnandosi con la sola chitarra, si congeda in tono confessionale.
"Tutto quanto ritorna" è un disco che si propone all'ascolto chiedendo "permesso" e che saprà tenere una buona compagnia nelle fredde sere d'inverno a chi sappia attenderlo e accoglierlo.

Massimo Lajolo & Onde Medie - Tutto quanto ritorna (Maremosso, 2016)

Alberto Molinari

Esce Sfarinati di cereali per alimentazione umana<br><small> by Margot Frank</small>


Un, due, tre… Via!!! Tornano al puro fare musica, volutamente solo strumentale, disegnando un cd semplicissimo quanto profondo, che andare diretto al proprio pubblico. Si chiamano Musica ex Machina e il loro ultimo lavoro discografico ha il buffissimo titolo di Sfarinati di cereali per alimentazione umana: iperbole per “ritorno agli ingredienti base”, vale a dire, ritorno ad un fare jazz fatto di poche semplici cose, con un pizzico di sana improvvisazione. Come recita la migliore scuola del jazz. Un Jazz fresco che si ispira, così recitano le note stampa, a Jaco Pastorius, Michel Camilo o Billy Cobham. A chi dal jazz, insomma, è partito, sì, ma per un viaggio lontano e altrove. Loro, il loro viaggio lo fanno su un treno dal sapore antico, quello che campeggia sulla bella copertina. Fra i monti dall’aria frizzantina di una libertà che fa di questo un disco godibilissimo e pieno di spessore.
Tutto da ascoltare….
Line up: Guido Coraddu al pianoforte, Francesco Bachis tromba e flicorno, Mauro Sanna basso elettrico e Simone Sedda batteria.



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By Margot Frank
‘Ndar, voce del verbo<br> emozionare<br><small> by Barbara Bianchi</small>


Una Suite modernissima e, contemporaneamente, d’altri tempi con soffusi colori world. Ma forse no, non solo… Perché in ‘Ndar di Rachele Colombo e Miranda Cortes si incontrano ritmi e sonorità pescati e rimasticati dal jazz alla classica, dal folk alla contemporanea. Un viaggio musicale e artistico che vede incontrarsi due artiste decisamente poliedriche e, nella loro diversità, incredibilmente abili nell’armonizzarsi per compiere e farci compiere questo viaggio. Un viaggio fra suoni e ritmi, fra temi e personaggi. In cui ogni brano porta con forza quasi ineluttabile al successivo. E in questo vagare di suono in suono, di ritmo in ritmo, di emozione in emozione, di ogni pezzo ti rimane un frammento addosso e nelle orecchie. Come solo i migliori dischi, quelli che rimangono nel cuore, sanno fare.
Rachele Colombo: voce, chitarra classica, elettrica, battente, bendir, darbuka, percussioni. Miranda Cortes: voce e fisarmonica. Al loro fianco amici musicisti che hanno fatto, chi più chi meno la storia della ricerca musicale italiana dei nostri giorni: Gianni Coscia che duetta con la fisarmonica di Miranda Cortes in Aquarium Venitien regalando i suoi fraseggi improvvisativi; Gualtiero Bertelli, in veste di poeta, che recita la sua rabbia per il destino di Venezia; Mauro Palmas e Maurizio Camardi delicate presenze in Vorìa ‘Ndar rispettivamente al liuto cantabile e duduk armeno, Dario Marusic solenne in L’oubli et le papillon nel suono della sopela istriana e del violino, Paola Lombardo con le sue teatrali sperimentazioni vocali in Aspettare L’uscita, Michele Pucci cui si deve la chitarra flamenco ne Il mio paese, Gianluigi Secco poeta e voce recitante nello struggente finale di Paròn perdido.

Ed è subito magia.

by Barbara Bianchi


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