Natale: I buoni propositi per il 2018 in musica<br> made in Bulgaria<br> <small> by Margot Frank</small>

Ambasciata di Bulgaria a Roma, concerto di Natale. Bellissimo concerto. E quando si parla di musica per l’interpretazione di voci bulgare non ci sono dubbi, mai…
Due parole sul programma musicale che ha giocato sulla più classica commistione fra grande lirica (Mozart, Gounod, Verdi) nell’interpretazione degli allievi dell’Accademia Boris Christof: Jana Kostova, Vessela Yaneva, Lilia Ilieva, Bozhidar Bozhkilov. E quel magico repertorio tutto natalizio che gioca fra il jazz e la lirica e che correda la colonna sonora dei Natali di tutto il mondo. Ad interpretare questa parte del programma tre divi direttamente da Sofia: Edelina Kaneva, Orlin Pavlov e Orlin Goranov.
Ma non è questa la riflessione che vorremmo fare su queste pagine. Quello che vorremmo dire, sottolineare, ricordare, quello su cui vorremmo insistere è il nostro adagio di sempre: la cultura è il miglior portavoce dei più grandi macro temi del nostro vivere civile e sociale. E chi decide di utilizzare la cultura come portavoce del proprio pensiero ci fa pensare bene sulle proprie intenzioni. Ebbene, in vista dell’imminente Presidenza del Consiglio dell’UE, la Bulgaria, nello specifico la sua Ambasciata in Italia, ha deciso di proporre un concerto che porta un titolo emblematico: A Natale con amore. Che dire: un buon biglietto da visita che, fuor di metafora, è chiaro nelle intenzioni già dal comunicato stampa promulgato nei giorni scorsi e riproposto dall’Ambasciatore bulgaro Marin Raykov in sala: “In vista delle elezioni europee nel 2019, questo semestre offrirà ai paesi europei la possibilità di riflettere sul futuro comune sullo sfondo degli sforzi di superamento della crisi economica e delle importanti sfide per la sicurezza dei cittadini. I temi dei migranti, della lotta al terrorismo, della crisi socio-economica e Brexit verranno discussi in un clima di ottimismo volto alla creazione di quel futuro che i giovani europei sognano. L’identità culturale europea è basata su tutte le culture dei paesi che compongono l’Unione e le feste natalizie sono il momento migliore per rafforzare il messaggio di unità morale e culturale.
Con queste parole la nostra redazione fa gli auguri a tutti i suoi lettori. Cultura, contaminazione, incontro: in nome di quelli stupore creativo che andiamo cercando da qualche anno su queste pagine.

by Margot Frank
Il Vangelo secondo Mattei:<br> senza errori di battitura <br><small> by Simona Albertini</small>


Il Vangelo secondo Mattei. No, non è un errore di battitura e nemmeno un remake del capolavoro cinematografico di Pier Paolo Pasolini. Non è un film sul petrolio e nemmeno un film sul cinema anche se i protagonisti di questa storia sono un regista e il suo aiuto impegnati nella realizzazione di un’inchiesta sulle trivellazioni in Basilicata. Insomma, di che si tratta?
È l’opera prima di Antonio Andrisani e Pascal Zullino, registi e attori, girata interamente a Matera e capace di mettere insieme dramma e ironia in modo inaspettato. Il dramma del fallimento, dell’ingiustizia e della sopraffazione. E l’ironia di personaggi buffi, a volte un po’ ridicoli, circondati però da un velo di malinconia e tenerezza. La sensazione non è quella di stare davanti alla solita commedia all’italiana.
Franco Gravela (un meraviglioso Flavio Bucci), che da ragazzino aveva partecipato come comparsa nel film di Pasolini, viene scelto, più per ragioni di marketing che estetiche, dal regista Alberto Rizzo (Antonio Andrisani) e il suo aiuto Savino (Pascal Zullino) per interpretare il Gesù alternativo del loro Vangelo secondo Mattei, uno sgangherato film di inchiesta contro le trivellazioni in Basilicata che si intreccerà con la vita di Pier Paolo Pasolini, autore dell’incompiuto romanzo Petrolio e dell’opera cinematografica Il Vangelo secondo Mattei.
Tutti i personaggi, anche se in modo diverso, vivono un fallimento. Il Vangelo secondo Mattei è il film del riscatto sia per il mancato attore Franco Gravela, che per il regista Alberto Rizzo, giunto ai suoi 50 anni con il peso di un fallimento delle sue ambizioni artistiche. Ma il tema scottante delle trivellazioni e il rapporto con la terra cominciano a dar fastidio a qualcuno. Ed è così che entra in scena un pizzico di Noir.
Il Vangelo secondo Mattei è sicuramente un film che fa riflettere. Alla fine ti ritrovi a pensare che forse non ne sai così tanto dei giacimenti di petrolio in terra lucana e delle trivellazioni in Basilicata, che forse non se ne parla abbastanza e che sarebbe utile informarsi un po’ di più. E allo stesso modo ti ritrovi a pensare che non ne sai abbastanza nemmeno di Enrico Mattei, il Mattei del titolo, e dell’attentato di cui fu vittima nel ‘62.


by Simona Albertini
Cane sciolto: alla ricerca di Omar Pedrini....<br><small> by Alessandro Hellmann</small>


La vita di un musicista controverso e inafferrabile appesa ad un filo sulla soglia di una sala operatoria e quella di uno scrittore squattrinato in fuga dai suoi sogni infranti. Sono queste due vicende convergenti ad aprire l’interessante biografia di Omar Pedrini, pioniere del rock italiano (da solo e con i Timoria).
Cane sciolto è un libro scritto quasi come un copione cinematografico: c’è una posta in gioco, c’è un’indagine, c’è un inseguimento, c’è un incontro. Attraverso la composizione degli indizi e delle testimonianze raccolte e attraverso campionamenti di discorso diretto, lungo un itinerario mai scontato, Scarioni ci consegna una biografia che ha la freschezza di un dialogo e l’architettura di un romanzo. Il libro, arricchito da numerose foto inedite, si colloca anni luce lontano dall’editoria d’accatto che troppo spesso prolifera intorno all’universo musicale e conferma la coerenza è il fiuto di un editore che rifugge l’ovvio. Non fatevi intimorire dalla relativa corposità del volume: andrà giù come un bicchiere d’acqua e vi condurrà per mano in luoghi dove probabilmente non siete mai stati.

by Alessandro Hellmann
Intervista ad Ambra Pintore: il nostro Biella Festival Music Video <br><small> by Barbara Bianchi</small>


Biella Festival Music Video: anche quest’anno la redazione di Ginger Magazine ha voluto dire la sua offrendo una menzione speciale ad uno dei video finalisti di questa costola del Biella Festival che, quest’anno, giunge alla sua seconda edizione. Fra tutti ci ha colpito il lavoro di Ambra Pintore con il suo Sa este: un video a nostro avviso molto particolare per il perfetto connubio fra la qualità delle immagini e lo spessore artistico e musicale. Vi suggeriamo intanto di gustarvi questo bellissimo video direttamente su Youtube. Intanto noi abbiamo fatto alcune domande alla sua autrice… Ecco le risposte:

Iniziamo proprio con il videoclip di Sa Este che ti ha fatto guadagnare una menzione speciale al Biella Festival Music Video 2017 Raccontaci da quale idea è nato?
Sa este è il brano che, per musica e testo, sintetizzava meglio le idee generali del mio nuovo disco Terre del ritorno. Un ritmo coinvolgente e quasi ipnotico, evocativo di mondi musicali che si fondono abbattendo frontiere e paletti dettati dalle etichette. Una voce di donna che afferma la propria libertà di “essere” contro il pregiudizio di chi, nascosto da una maschera, si uniforma al pensiero comune e perde di vista il particolare e l’unicità che è in noi. Tutto era pronto, mancava la storia per immagini. Volevo un regista a cui affidare ad occhi chiusi questo brano, in totale autonomia e creatività: Filippo Martinez ha esaudito questo desiderio e la sua visione è tutta nel videoclip che abbiamo portato a Biella.

La canzone sarda ha una lunga tradizione di artisti e interpreti, ce n'è qualcuno al quale sei particolarmente legata?
Prima di approdare alla musica da interprete sono stata immersa nella cultura sarda a più livelli. Sono figlia di un appassionato di Cantos a chiterra e poesia improvvisata, generi non semplicissimi da apprezzare da piccoli! Ho studiato tanti anni con la Compagnia Teatro Actores Alidos seguendo stage sulla canzone e tradizione sarda. Infine ho per più di 10 anni condotto la trasmissione di musica e danza folkloristica Sardegna Canta. E soprattutto grazie a questa ultima esperienza ho conosciuto tutti gli interpreti viventi di tutti i generi tradizionali e non. Li ho presentati, intervistati, studiati, ascoltati dal vivo, in playback… interagito con loro dietro le quinte. Sono cresciuta con loro. Ho grande stima di chi è riuscito ad esprimersi con la propria musica in maniera originale, pur andando contro le mode gradite al pubblico. Sono diversi i nomi che mi vengono in mente e citarne alcuni toglierebbe merito agli altri. Loro sono un esempio di coerenza, professionalità e ingegno. Tutti gli altri mi hanno insegnato, al contrario, a capire esattamente dove non volevo andare. Osservare e ascoltare così da vicino è stata l’esperienza più formativa alla scrittura delle mie canzoni. 

La produzione artistica del tuo album è di alto livello qualitativo, parlaci dei tuoi musicisti e degli artisti che hanno collaborato al tuo disco.
Anzitutto ci sono Giorgio Rizzi e Roberto Scala, già autori del mio primo disco, curatori anche degli arrangiamenti oltre che parte della mia formazione dal vivo insieme a Federico Valenti e Diego Milia. Sono stati i primi a spronarmi a scrivere i testi del nuovo disco e comunque a credere in questo lavoro che è nato dalle nostre idee a volte pensate in solitudine e poi condivise e rivisitate insieme con maniacale ossessione!! 10 brani e 10 mondi diversi avevano bisogno di essere animati da chi meglio poteva capirli. Ecco perché tante collaborazioni intense: con i poeti Michele Pio Ledda e Anna Cristina Serra; con Pino Martini (autore di alcuni pezzi); con i musicisti che hanno suonato nel disco, la maggior parte dei quali ha prima condiviso l’idea e poi dato il proprio apporto creativo. C’è il decano delle launeddas in Sardegna Luigi Lai e il curdo Mubin Dunen, la violoncellista piemontese Simona Colonna, i fiati magistrali di Marco Argiolas e il bandoneon di Fabio Furia. E tanti altri… E dulcis in fundo c’è stato un lavoro sensibile e accurato del nostro produttore Michele Palmas che ha anche curato i suoni, ma soprattutto ha fatto sì che le nostre idee e interpretazioni fossero coerenti nel progetto.

Il tuo disco comunica una grande libertà e ricchezza musicale che sembra riferirsi ai suoni e alla strumentazione di tutta l'area mediterranea senza però, se occorre, disdegnare l'elettronica. Ci sono poi naturalmente molte canzoni in sardo, ma anche in siciliano ed in inglese. Quali sono le ragioni di queste scelte artistiche?
Io mi sento apolide e ho una storia familiare di viaggi, abbandoni, ritorni. Ho capito in questi ultimi anni che mi sento a casa in diverse case. Ho un forte senso della famiglia e anche del radicamento, ma sono permeabile a tutto il resto. Mi affascina la musica popolare ed etnica perché è diretta, poco sofisticata. Si fa carico delle emozioni che racconta e le porta fuori senza sofismi. Non ha bisogno di mostrare il diploma in musica perché vive di racconti tramandati e inconsapevolmente tuoi. Non sono una parlante attiva di tutte le lingue che uso nel disco, ma senza di esse i miei brani avrebbero un altro colore. Ogni brano è un affresco, una storia ambientata in luoghi e tempi in cui i protagonisti cantano con la loro variante linguistica e si muovono in un ambiente musicale che li avvolge e aiuta a costruire il dipinto finale. Mi auguro che chi ascolterà questi brani possa crearsi la propria immagine, il proprio viaggio grazie ai suoni delle parole e della musica. 

La tua attività non si limita a quella di musicista perché ti occupi anche di televisione e giornalismo. L'essere così eclettica può creare difficoltà nel farsi comprendere?
Quando sono sul palcoscenico a cantare no, mai. In Sardegna però, e solo in Sardegna, sapere che ho fatto o mi occupo anche di altre cose, che poi rientrano comunque nel mondo dell’arte, genera dei pregiudizi. Ecco perché è nata Sa este… In questo la televisione non aiuta, perché ti dà una grande popolarità, ma ti etichetta indissolubilmente al genere di programma che conduci. Tutto ciò che c’era prima, durante e dopo la TV la maggior parte delle persone non lo sa. Quindi qualche delusione e un po’ di fatica in più è da mettere in conto. Ahimé!

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Vivere d’arte!

* le foto di questo servizio sono di Fiorella Sanna


by Barbara Bianchi
Il Mistero<br> del Talento<br><small> by Barbara Bianchi</small>


Da assidui frequentatori dello spettacolo italiano, teatro ma anche cinema e Televisione, ci troviamo troppo frequentemente a fare riflessioni sul Talento. Ci hanno sempre detto che “il Talento paga”, prima o poi, ma ripetutamente abbiamo potuto constatare con amarezza il contrario. E ogni tanto ci va di sottolinearlo. Che una carriera, nel mondo dello Spettacolo (ma non solo!) sia disseminata di “aiutini” lo sappiamo: il metro di valutazione è stato deformato, e non è quasi mai il Talento, che impone un’onestà intellettuale e una sensibilità artistica troppo impegnative. Meglio ricorrere a “talenti” alternativi, molto più redditizi e veloci.  E’ così e lo sarà per sempre, che ci piaccia o no. In tutti i settori. Per uomini e donne. Finché il Talento non diventerà la sola coordinata variabile che fa di una persona il suo essere “talentuosa” o meno. Questa viscerale riflessione, ci riporta al perchè di questo articolo, nato dopo la visione di uno spettacolo teatrale: la Fedra di Seneca, visto al Teatro Sala Uno di Roma, per la regia di Mariano Anagni. Perché in questo spettacolo c’è un attore che seguiamo da anni, e ogni volta abbiamo avuto la percezione che fosse in procinto di fare il “salto” e ottenere quello spazio che merita e quella visibilità che “fa” una carriera:  è Patrizio Cigliano. Ma prima di scrivere di lui, è giusto dire che questa Fedra è un bellissimo spettacolo di respiro magniloquente, da grande Teatro, forte di un testo di una modernità assoluta e che disorienta, se si pensa che è stato scritto da Seneca, morto 65 anni dopo la nascita di Cristo. La tragedia, togliendo tutti i complicati riferimenti mitologici, parla della decadenza del potere, della caduta dei valori, della lussuria che caratterizza i potenti, della forza della passione, dell’Amore. Temi spaventosamente attuali. La trama: Fedra è sposata con il Re Ateniese Teseo, semi-eroe controverso e ambiguo che l’ha abbandonata per uno di quei viaggi iniziatici che caratterizzano tutta la letteratura mitologica. Durante la sua assenza, la protagonista si innamora perdutamente di Ippolito, figlio di primo letto di Teseo. Prova a sedurlo, ma Ippolito, che ha scelto una vita ritirata nella natura e fuori dalle storture dell’ipocrita civiltà – comprese le trappole dell’Amore - la respinge indignato. Nel maldestro tentativo di non assumersi la responsabilità del mancato amplesso, Fedra dice a Teseo, appena tornato ad Atene, di aver subìto violenza da Ippolito. Teseo si infuria e maledice il figlio che viene orrendamente ucciso da un mostro marino generato da Nettuno, suo Dio/Padre. Fedra non sopporta il senso di colpa, confessa la menzogna a Teseo e si uccide, lasciando il Re in una devastante solitudine, divorato dal dolore per la morte del figlio, da lui invocata al Dio del Mare. Passione, onore, politica, lussuria si intrecciano raccontando un Mondo antico, che poi così antico non è. E il monologo della nutrice che mette in guardia Fedra sull’onnipotenza di cui si sentono investiti i palazzi di potere, ci suona tristemente familiare. E ha più di 2000 anni! La Regia di Mariano Anagni è classica e rigorosa e ambienta la scena in una specie di ex reggia, fatta di mobilia disordinata, vecchia e decadente, molto efficacemente illuminata nella splendida location del Teatro Sala Uno, lasciato giustamente spoglio. La Compagnia di questa Fedra è di primissimo livello: Marina Biondi  è una Fedra vibrante e instabile, combattuta tra la passione e la morale, con una padronanza attoriale esemplare e toccante. Il giovanissimo Gabriele Anagni è un Ippolito risoluto e convincente, con qualche acerbità tecnica che però bilancia con una forte prestazione fisica. Molto coinvolgente è Marina Zanchi, una dolente Nutrice seriamente preoccupata per il tragico susseguirsi degli eventi. Lavinia Cipriani è il commovente messaggero che racconta a Teseo l’orribile fine del figlio, in un monologo talmente evocativo da sembrare un film. Il coro, che dispensa il senso morale dello spettacolo e del testo con le battute di maggiore modernità, è affidato a Cristina Pelliccia e Erika Puddu (quest’ultima è l’unico anello un po’ debole, ed è un peccato, perché la sua performance non è all’altezza di un ensamble di così alta fattura). E poi c’è Patrizio Cigliano, che fa un Teseo strepitoso, appoggiato ad una tecnica che padroneggia con consapevolezza e disinvoltura, aggiungendovi quei toni di palpabile dolore che raccontano la devastazione di un Padre che assassina – e per di più per un inganno! – suo figlio. La sua interpretazione è esemplare: tragica ma moderna. Fisicamente vigorosa eppure intima. Vocalmente ineccepibile, piena di sfumature e sottotesti che non ci fanno distogliere gli occhi da lui anche quando non parla. C’è la grandezza del Teatro classico, ma anche la confidenza del cinema. Non c’è quella retorica di toni che certe parole ricercate potrebbero generare, c’è la comunicazione di un pensiero, di un sentimento. C’è un attore che “parla” con il pubblico, e pur dicendo cose “pesanti”, lo fa con una leggerezza che le fa passare in platea con grande semplicità. C’è un attore di non consueto Talento, insomma. Un attore che dovrebbe avere una carriera molto più riconoscibile. Una carriera che a nostro avviso dovremmo vedere anche al cinema. Un attore che ogni volta che leggiamo su una locandina abbiamo fiducia di andare a vedere, perché ogni volta ha saputo sorprenderci e convincerci (il romanissimo Mandrake del recente musical Febbre di Cavallo del Sistina ce lo ha fatto vedere comicissimo e canterino come non potevamo immaginare). Sì: un attore di raro Talento, troppo poco utilizzato, per il suo valore, e che per questo alimenta in noi il sempre più grande Mistero del Talento in Italia.


Fedra, di Seneca
Regia di Mariano Anagni
con
Marina Biondi     Fedra
Patrizio Cigliano     Teseo
Marina Zanchi     Nutrice
Gabriele Anagni     Ippolito
Lavinia Cipriani     Il Messaggero
Erika Puddu     Corifea 1
Cristina Pelliccia     Corifea 2
Scene e costumi Maria Spataro
Luci Giovanna Venzi


Al Teatro Sala Uno di Roma (S. Giovanni) fino al 29 ottobre 2017. Da non perdere.
Intervista a Salvatore De Siena, Parto delle Nuvole Pesanti <br><small> by Margot Frank</small>



C’è un paese in Calabria, sulla costa jonica, in provincia di Crotone, che propone per il prossimo 6 agosto la seconda edizione di un festival molto interessante, il Suoni di Strada Strongoli festival.
Il paese è, appunto, Strongoli e l’evento si svolgerà nella sua parte marina, quella che si è sviluppata lungo la costa. A  partire dalle ore 09.00 fino all’alba del giorno dopo, sulla lunga “spiaggia dei brillantini” e per  le strade della cittadina ionica, l’antica Petelia fondata dal mitico Filottete, amico di Ulisse, si potrà assistere  a concerti, performance improvvisate, danze, pitture estemporanee, graffiti, e gustare anche piatti tradizionali strongolesi accompagnati da ottimo vino locale.

Ecco cosa ci dicono in proposito il direttore artistico Salvatore De Siena (anche leader del Parto delle Nuvole Pesanti), e la sua responsabile Organizzativa Stefania Leotta.

Salvatore De Siena
Musicista, fondatore e leader del Parto delle Nuvole Pesanti, direttore artistico, ideatore di progetti…tanta arte nel tuo percorso. Raccontaci qualcosa e come nasce poi la tua collaborazione con il festival Suoni di Strada?
Il percorso con il Parto delle Nuvole Pesanti dura da oltre venti anni. Abbiamo ormai consolidato la nostra attività artistica tra concerti e progetti culturali che portiamo avanti con il nostro percorso fatto di musica e impegno civile. 
Di recente, insieme ad un gruppo di professionisti creativi, ho fondato l’associazione di promozione sociale e culturale GirodiValzer, che si occupa di progettazione e produzione di eventi. Con GirodiValzer cerco di dare spazio alla mia attività di ideatore e direttore artistico di diversi festival e progetti musicali, culturali e sociali (La valigia d’identità, I colori dell’abbandono, Terre di Musica – Viaggio tra i Beni Confiscati alla Mafia).

La collaborazione con il festival Suoni di Strada nasce da una telefonata che un giorno di giugno dell’anno scorso mi fece Stefania Leotta, la responsabile organizzativa del festival alla quale sono legato da profonda amicizia. Lei mi disse che avevano avuto l’idea di fare qualcosa dedicata alle street band perché un loro amico ne aveva costituita una a Strongoli e mi chiese se potessi dare una mano.. Ho visto tanto entusiasmo sincero ed autentico dietro quella richiesta, ho visto la passione di un gruppo di giovani di Strongoli, il mio paese nativo, che voleva lanciare un segnale di cambiamento in una realtà difficile. Raccolsi la sfida e partì in fretta e furia la prima edizione del festival che dedicammo interamente alle street band tanto che l’evento si chiamò "Street Band Festival"

Qual è l’idea artistica che hai seguito per il festival?
Nella prima edizione del 2017 non c’è stato tanto tempo per fare grandi cose ma sin dall’inizio ho avuto in mente che, visto la scarsità di risorse economiche potevo contare solo su idee originali. Allora ho pensato di sfruttare il mare, una risorsa naturale che può dare originalità al festival. Ho chiesto a tutti gli artisti una complicità per coinvolgere i bagnanti con performance sparse sui cinque chilometri di spiaggia della baia di Strongoli. L’anno scorso quest’idea ha registrato un sorprendente successo evidentemente perché non tutti i giorni si vedono musicisti a piedi scalzi a marciare e suonare sulla spiaggia in piena libertà espressiva. E chissà che nelle prossime edizioni non li faremo sbarcare dal mare…

Cosa sono i suoni di strada ?
Per me i suoni di strada sono un concetto in continua evoluzione e comunque un concetto aperto. Il nome “Suoni di Strada" nasce dall’esigenza di aprire lo sguardo verso tutte quelle culture musicali che oggi si incontrano e si ascoltano per strada, nonché verso quella tradizione musicale popolare che di strada ne ha fatta tanta - come le Bande Musicali - peraltro molto radicata nelle comunità del Sud. La scelta della parola Suoni anziché Musiche trova la sua giustificazione proprio nel fatto che il Festival intende includere eventi che esprimano i suoni in senso più generale mentre le musiche fanno riferimento soltanto a fenomeni musicali, come suoni dei mercati di strada, o a quelli della parola letta in reading estemporanei realizzati in angoli inconsueti. Suoni insomma che raccontino, con varie espressioni artistiche, tutte quelle vibrazioni che ci arrivano all’orecchio e che costituiscono la nostra esperienza acustica, dal suono degli ambulanti a quello dei cantastorie, da quello dei nostri dialetti a quello della natura. E’ quasi un’idea filosofica ed esistenziale dell’arte e della musica che sembra essere lontana dalla “strada” ma in realtà è tutta la nostra vita. D’altra parte Il “mondo della strada” è un fenomeno sociale e popolare, magico e affascinante che da sempre ha suscitato anche l’interesse del cinema, della musica e della letteratura. Basti pensare al film La Strada di Federico Fellini alla canzone Pezzi di Vetro di De Gregori, al divertente Bert, amico di Mary Poppins, che sbarcava il lunario tra performance musicali per le strade o ancora ad artisti come Dario Fo o musicisti come Rod Stewart, Tracy Chapman, Ed Sheeran, Sting, e persino la mia band, Il Parto delle nuvole Pesanti, con la quale realizzai il primo disco proprio con i soldi raccolti in un mese di cappello nelle vie del centro storico di Bologna…

Un festival di un solo giorno, ma un giorno intero…con eventi che iniziano la mattina e terminano all’alba del giorno dopo. Un’immersione breve ma intensa in diverse discipline artistiche. Ci racconti qualcosa in più sul programma? 
Cerchiamo di fare necessità virtù e di trasformare il bisogno in leva dell’ingegno… Così non potendoci permettere di fare un festival di tre giorni non solo per mancanza di risorse finanziarie ma anche di risorse umane, ci è venuta l’idea di una giornata intensa e no stop, dal mattino fino all’alba del giorno dopo. E’ un’idea che valorizza l’elemento della sorpresa, dell’intensità emotiva, dell’immaginario che proprio la brevità dell’esperienza consente di sviluppare. Il Festival aprirà i battenti alle ore 9 di domenica 6 agosto con un concerto itinerante “a scomparsa” della banda musicale di Strongoli Leonardo Vinci accompagnata dagli armonici passi delle Majorettes Proloco  Strongoli. A seguire ci saranno alcuni flash mob. Il gruppo folkloristico Aqila a sorpresa ballerà su ritmi vertiginosi in abiti tradizionali, mentre la Ottopiù Street Band farà un’incursione musicale tra la gente che affolla il mercato cittadino. Nel pomeriggio un manipolo di musicisti invaderà la spiaggia servendo ai bagnanti una “macedonia” a base di note, improvvisazioni e coinvolgenti balletti. All’imbrunire, prima di immergersi nella magia degli spettacoli serali, si potranno gustare i tradizionali “pip e patat” preparati con la maestria culinaria delle donne strongolesi. A bagnare l’imperdibile piatto petelino, ci saranno i migliori vini del crotonese, dal Cirò al Melissa fino al Val di Neto. Alle ore 22,00 si partirà con gli spettacoli di Piazza Magna Grecia dove si esibiranno gli affermati LestoFunky, una street band romana dalle potenti sonorità, e le ipnotiche danzatrici del gruppo Harem - Il Tempio delle Odalische di Cosenza che restituiranno la danza del ventre alla dea della fertilità a cui l’ha sottratta la tentazione turistica e commerciale. Allo scoccare della mezzanotte largo ai Tammurinari della Sila che, coi loro ritmi forsennati, daranno la stura alle capriole, alle piroette e ai fuochi del Ciuccio Pirotecnico. A seguire tutti sulla spiaggia del lungomare dove il Festival proseguirà per tutta la notte con artisti a sorpresa, musica, balli, racconti e bagni notturni, in attesa di vedere l’alba spuntare dal bellissimo mare della baia di Strongoli e annusare l’odore del caffè che dalle case arriva fino in spiaggia. Durante la giornata del Festival ci saranno altri eventi di cornice tra cui un’estemporanea di pittura con un gruppo di giovani pittori delle scuole artistiche del crotonese e la presenza di vari graffitari che cercheranno di individuare spazi murari da trasformare in opere d’arte. Insomma, cerchiamo di seminare bellezza… 


Stefania Leotta
Ad organizzare il festival è l’associazione Controvento che tu presiedi. Dicci qualcosa della vostra realtà e come nasce poi l’idea di portare avanti un festival dal programma anche coraggioso per un piccolo paese…
Il Suoni di Strada Strongoli Festival nasce per caso durante una passeggiata tra amici sul lungomare cittadino, da un'idea di Ciro D'Alò, leader della Otto più Street Band, che quella sera di primavera del 2016, volle condividere un suo sogno e di quel sogno farne un evento straordinario. L'Associazione Strongoli Controvento che io presiedo ha avuto il coraggio di realizzare, in pochi mesi, un festival ambizioso che, seppur in una  piccola realtà di paese, ha voglia di crescere ancora, "di fare" e di "fare bene insieme" anche in collaborazione con altre associazioni presenti sul territorio e non.

State contando praticamente solo sulle vostre risorse e su quelle di amici e sostenitori spontanei . E’ faticoso portare avanti un progetto in questo modo?
Il sostegno sia quest'anno che l'anno scorso ci viene sia dall'Amministrazione Comunale di Strongoli che dai sostenitori del festival e dagli amici vicini e lontani che apprezzano il nostro impegno ed amano il proprio paese. E' per noi questo un modo di fare "cittadinanza attiva" perchè quando si organizza un evento di questa portata, affinchè possa riuscire bene, ognuno è chiamato a mettere a disposizione quello che ha e quello che può: c'è chi mette a disposizione l'ingegno, chi il proprio tempo libero, chi la propria forza lavoro, chi i propri soldini...è questa la formula vincente del nostro Festival!

Sappiamo che il motore, l’anima pulsante di tutto questo interessante festival è costituita da donne. Come sempre le più tenaci, quelle con più energia a portare avanti progetti nuovi, che possono sembrare difficili da far radicare in un territorio che vive di certe tradizioni artistiche 
Si è vero, l'Associazione Strongoli Controvento è stata fortemente voluta da noi otto donne, grintose e caparbie, che formiamo il Direttivo e che in un paese fortemente legato alle tradizioni abbiamo voluto portare una ventata di aria fresca, un'idea artistica innovativa e rivoluzionaria che, devo dire, il paese ha accolto con enorme successo. Il nome stesso dell'Associazione Strongoli Controvento sta ad indicare proprio questo desiderio di andare "contro" la corrente comune, contro le ovvietà, contro l'appiattimento e la prevedibilità...i nostri eventi (dall'idea, alla scenografia, alla grafica, alla comunicazione) non sono mai scontati, ma innovativi ed originali e riescono sempre a stupire e ad entusiasmare il pubblico dei grandi e dei piccini.
by Margot Frank

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