Hamlet Project. Ovvero, Amleto messo in scena da una compagnia selezionata a seguito di una serie accurata di provini, ma soprattutto che si è prodotta in modo collettivo e autonomamente. L’idea è di Patrizio Cigliano, regista e attore che di creatività certo non manca e che così ha voluto gettare un altro sasso per combattere la stagnazione del teatro indipendente di casa nostra. Portando in scena (Roma, Teatro dell’Orologio fino al 6 aprile) nientepopodimeno che il capolavoro shakespiriano. Una messa in scena di gusto, appassionata, piena di ironia, intensa quanto capace di levità. Che, completamente fuori retorica, ci restituisce quel gusto dello spettacolo, dell’equilibrata alternanza fra momenti drammatici e comici che erano del teatro del Bardo e che Cigliano ha riscoperto sapientemente scegliendo la prima versione di Amleto.
Patrizio Cigliano ha dalla sua un’abilità e un coraggio: quello di saper essere romantico quando tutti sarebbero pesantemente seriosi, di essere ironico quando ci si aspetterebbe un piglio compunto. Di guardare alla storia e alla tradizione invece di giocare la parte dell’innovatore a forza. In questo sa essere straordinariamente moderno ed è capace di muovere le pance e di sollevare le menti e il cuore regalandoci una magia, il Teatro. Questa volta, con un pizzico di sana retorica, con la T maiuscola.
I panni del principe di Danimarca erano vestiti da Alessandro Parise, intenso tanto quanto poliedrico nella sua interpretazione di questo personaggio arguto e filosofo. La Regina Madre era affidata all’interpretazione di Daniela Cavallini che ci ha restituito brillantemente il percorso umano e spirituale di una donna combattuta fra la propria dimensione privata e quella materna. Il Re Claudio era interpretato da Daniele Sirotti, più viscido che perfido, ma comunque ben calato nel ruolo. Deliziosi e divertentissimi i Rosencrantz e Guildestern di Biagio Musella e Cristiano Priori. A vestire i panni di Ofelia era Domitilla D’amico. Mentre Orazio era interpretato da Marco Manca e Laerte da Marco Montecatino. La voce fuori campo del fantasma era di Gigi Proietti. Una particolarità: la versione a cui abbiamo assistito noi vedeva lo stesso regista, Patrizio Cigliano, sostituire a copione Gianni Giuliano nei panni di Polonio: un’interpretazione da applausi a scena aperta che ha restituito a Polonio le molteplici sfaccettature di uomo goffo, diplomatico quanto ossequioso, ma sostanzialmente onesto.
Splendido e sapiente l’utilizzo delle musiche che supportano la recitazione e la vicenda puntellandoli con sapienza e pathos e che portano la firma di un giovane quanto brillante Giacomo Del Colle Lauri Volpi.

Arguta la scenografia: un baldacchino girevole e un gioco di pannelli che si alzavano e abbassavano a contrappuntare il palcoscenico di luci ed ombre, di spazi cangianti pur nella semplicità imposta dalla struttura della sala teatrale, piccola e senza quinte.

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