San Andrés islands: una “mezcla” di colori
Nel mezzo del mare dei caraibi affiora un arcipelago di straordinaria bellezza, che unisce storia, cultura e tesori.
Le oasi di San Andrés, Providencia e Santa Catalina sono dei rifugi paradisiaci sotto l’amministrazione giuridica colombiana.
Questo insieme di isole si trova al largo del Nicaragua e rappresenta un vero e proprio miscuglio di usanze. I primi residenti di queste terre furono dei puritani britannici insieme con i cosiddetti isleños (isolani), schiavi congolesi trascinati dagli europei in epoca coloniale.
Che cosa rende quest’aggruppamento di lidi così affascinante oltre al suo richiamo di paradiso terrestre?
Cominciamo da qui: negli anni successivi alla scoperta (attorno alla metà del ‘500), gli schiavi non parlavano altro che dialetti propri: per farsi comprendere iniziarono ad utilizzare la lingua inglese con un fortissimo accento e mix di parole africane. Nasce in questo modo il creole english.
Le vicende storiche hanno poi portato queste coste sotto il controllo del governo della Colombia, che ha ovviamente rimischiato tutte le carte sotto il punto di vista culturale e consuetudinario. Inoltre, la forte influenza delle usanze caraibiche ha aggiunto sale alla pentola. Il risultato è straordinario: nelle isole si parlano inglese criollo e spagnolo caribeño e i suoi colori ricordano sapori di Africa, Latino America e Jamaica. Tutti allo stesso tempo. Tutti nella stessa terra.
Ciò si è riflesso ovviamente anche nelle sue danze, che sono rappresentate da pezzi a base di kizomba, salsa e reggae sulle bianche spiagge di Johnny Cay, un isolotto di cinque ettari a dieci minuti dall’isola principale e circondato dal cosiddetto “mare dei sette colori”.
A Providencia e Santa Catalina sono ancora presenti i resti del passaggio dei pirati: da piccoli tesori a oggetti tipici.
L’unicità di queste terre è resa ancora più meravigliosa dalla sua gente: l’accoglienza, i sorrisi e la leggerezza nel vivere la vita rendono quella di San Andrés una delle esperienze più colmanti e allegre che si possano vivere.
Francesco Ferri
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