I binari narrativi di Socialmente pericolosi
Quando
un regista sente l'esigenza di raccontare una propria esperienza di vita
vissuta, sai già che il risultato finale sarà permeato di una forza espressiva
di quelle che ti rimangono attaccate addosso. Se poi questa esperienza è un
avvenimento che ha cambiato la vita di chi l'ha voluto condividere, diventa
contagio di pensiero.
Con
Socialmente Pericolosi ci muoviamo insieme a Fabio Venditti lungo due binari
narrativi speculari: il primo narra la vicenda umana di giornalista televisivo,
interpretato da Vinicio Marchioni, che si trova a condividere momenti di vita
professionale e privata con un camorrista ergastolano, magistralmente
interpretato dal coprotagonista Fortunato Cerlino; l'altro, un racconto narrativo
documentaristico, assembla parti di interviste già andate in onda nel 2013 in
occasione di due speciali di Tg2 (Le compagne di Gilda e QuartieriSpagnoli
Italia) per ricreare l'immagine di un complicato puzzle, quella della vita di
un gruppo di giovani abitanti dei Quartieri Spagnoli napoletani. La distanza
tra due mondi così apparentemente lontani si annulla, accomunati dalla ricerca
di coraggio: il coraggio di saper (e di potere) distinguere il bene dal male,
sempre che esistano; il coraggio di un confronto di valori, finalizzato ad
inventare insieme un progetto di cambiamento. La ricerca del miglioramento di
se stessi sfocia con naturalezza nell'intento di collaborazione con l'altro,
fino a trasformare incontri casuali in rapporti umani profondi: ed è infatti la naturalezza il fil rouge di questo
lavoro, espressa magistralmente nei lunghi dialoghi improvvisati tra Marchioni
e Cerlino, da una sceneggiatura volutamente senza contorni, e denunciata con
timida rabbia nelle scene neorealiste dei ragazzi del quartiere napoletano
dimenticato dalla vita comune. Non ultimo il valore aggiunto della naturalezza
con cui il giovane compositore salernitano Gian Luca Nigro veste di musiche
originali la forma espressiva dei tempi di montaggio disegnata da Chiara Venditti.
Con questo ultimo lavoro -come ha dichiarato lo stesso Fabio Venditti- si
evidenzia l'urgenza di riflettere sui concetti contenuti, attraverso l'uso
della forma come puro mezzo, piuttosto che come fine. Fine che come un cerchio
aperto lascia spazio a percorsi nuovi, per potersi ancora perdere e
reinventare.
Claudia
Loddo
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