Ascoltando
La Grande Bellezza ha violentemente diviso. Bastava dare una
scorsa ai toni dei post pubblicati sui vari social network per rendersene
conto. I precedenti Oscar italiani non avevano subito tanto livore perché, si
dice, avevano una storia da raccontare. Nel film di Sorrentino, si dice, vi è
solo una amara descrizione della nostra decadenza senza un filo narrativo comprensibile.
La stessa cosa, anni orsono, si diceva di Antonioni, Pasolini e Fellini. Ma,
più recentemente, non di Benigni, Tornatore e Salvatores che tramandavano
invece la figura dell’italiano simpatico dotato di eroica leggerezza, una
maschera da esportazione che tanto piace agli americani. E’ il consueto duello
che vive la nostra anima doppia: popolare e ricercata. Se però spostiamo l’attenzione
sulla colonna sonora tutto sembra più chiaro e lineare.
Perché quando un regista italiano decide di aprire un film
con il Torino Vocal Ensemble che interpreta “I Lie”, un brano del compositore
americano post-mimimalista David Lang, chiudendolo con una meravigliosa sequenza
finale accompagnata dalle musiche del Kronos Quartet (“The Beatitudes” del
russo Vladimir Martynov) vuol dire che
siamo già davanti ad una chiarissima manifestazione di precisi intenti non solo
artistici. Un autentico sasso nello stagno per una cinematografia che spesso
rifiuta una scrittura musicale fuori dagli stereotipi tradizionali. Soprattutto
Sorrentino mostra una sensibilità e cultura musicale che non teme di essere
tacciata di intellettualismo.
Ogni scelta di questa ricchissima colonna sonora, finalmente
di respiro internazionale, è caratterizzata da una lucida conoscenza della materia
musicale.
Un mood fatto di sospensioni e straniamento minimalista con
una particolare predisposizione verso la musica corale contemporanea che porta
la firma di una pletora di compositori quali Arvo Part, Zbigniew Preisner, John Tavener, Henryk
Gorecki. E anche quando bisogna descrivere le scene della Roma più vacua, edonista
e festaiola le indovinatissime scelte cadono su icone dance della scena odierna
come Bob Sinclair e Yolanda Be Cool che reinterpretano un paio di emblematici
titoli della canzone italica di Raffaella Carrà e Renato Carosone (“Far l’amore”
e “Tu vo fa l’Americano”), ma anche brani dal sapore latino più vintage come la
“Que no se acabe el mambo” de La Banda Gorda o addirittura la nostalgica “Ti
ruberò” di Anna Cetti, forse la canzone più sottilmente legata alle atmosfere
felliniane. In questo grande caleidoscopio sonoro forse l’unico a rimetterci è
Lele Marchitelli, il compositore delle musiche originali del film, al quale
vengono probabilmente sottratte più scene della pellicola. La sua scrittura però
sembra sempre essere in empatia con lo stile generale della colonna sonora
senza mai risultare un copro estraneo in contrasto. Ho cercato di capire se tanta
maestria fosse solo opera di Sorrentino o se fosse invece supportato da qualche
illuminato consulente. Non sembrerebbe. Mi piace quindi pensare che tutto sia
il frutto di un’attenzione amorevole nei confronti della musica per immagini che
la filmografia del regista ha più volte manifestato attraverso la scelta dei
suoi compositori. Faccio qualche nome: David Byrne, Theo Teardo e Pasquale
Catalano.
E allora, caro Sorrentino, a nome di tanti che non solo
vorrebbero vedere ma anche ascoltare un film, di tanti musicisti e musicofili,
editori e music supervisor, insomma almeno a nome di gran parte del dipartimento
musicale non affetto da invidia: grazie!
Il tuo Oscar te lo sei meritato tutto!
https://www.youtube.com/watch?v=jc3iVykoakg
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