Il Mistero
del Talento
by Barbara Bianchi
Da assidui frequentatori dello spettacolo italiano, teatro
ma anche cinema e Televisione, ci troviamo troppo frequentemente a fare
riflessioni sul Talento. Ci hanno sempre detto che “il Talento paga”, prima o
poi, ma ripetutamente abbiamo potuto constatare con amarezza il contrario. E
ogni tanto ci va di sottolinearlo. Che una carriera, nel mondo dello Spettacolo
(ma non solo!) sia disseminata di “aiutini” lo sappiamo: il metro di valutazione
è stato deformato, e non è quasi mai il Talento, che impone un’onestà
intellettuale e una sensibilità artistica troppo impegnative. Meglio ricorrere
a “talenti” alternativi, molto più redditizi e veloci. E’ così e lo sarà per sempre, che ci piaccia
o no. In tutti i settori. Per uomini e donne. Finché il Talento non diventerà
la sola coordinata variabile che fa di una persona il suo essere “talentuosa” o
meno. Questa viscerale riflessione, ci riporta al perchè di questo articolo,
nato dopo la visione di uno spettacolo teatrale: la Fedra di Seneca, visto al
Teatro Sala Uno di Roma, per la regia di Mariano Anagni. Perché in questo
spettacolo c’è un attore che seguiamo da anni, e ogni volta abbiamo avuto la
percezione che fosse in procinto di fare il “salto” e ottenere quello spazio
che merita e quella visibilità che “fa” una carriera: è Patrizio Cigliano. Ma prima di scrivere di
lui, è giusto dire che questa Fedra è un bellissimo spettacolo di respiro
magniloquente, da grande Teatro, forte di un testo di una modernità assoluta e
che disorienta, se si pensa che è stato scritto da Seneca, morto 65 anni dopo
la nascita di Cristo. La tragedia, togliendo tutti i complicati riferimenti
mitologici, parla della decadenza del potere, della caduta dei valori, della lussuria
che caratterizza i potenti, della forza della passione, dell’Amore. Temi
spaventosamente attuali. La trama: Fedra è sposata con il Re Ateniese Teseo,
semi-eroe controverso e ambiguo che l’ha abbandonata per uno di quei viaggi
iniziatici che caratterizzano tutta la letteratura mitologica. Durante la sua
assenza, la protagonista si innamora perdutamente di Ippolito, figlio di primo
letto di Teseo. Prova a sedurlo, ma Ippolito, che ha scelto una vita ritirata
nella natura e fuori dalle storture dell’ipocrita civiltà – comprese le
trappole dell’Amore - la respinge indignato. Nel maldestro tentativo di non
assumersi la responsabilità del mancato amplesso, Fedra dice a Teseo, appena
tornato ad Atene, di aver subìto violenza da Ippolito. Teseo si infuria e maledice
il figlio che viene orrendamente ucciso da un mostro marino generato da
Nettuno, suo Dio/Padre. Fedra non sopporta il senso di colpa, confessa la
menzogna a Teseo e si uccide, lasciando il Re in una devastante solitudine,
divorato dal dolore per la morte del figlio, da lui invocata al Dio del Mare.
Passione, onore, politica, lussuria si intrecciano raccontando un Mondo antico,
che poi così antico non è. E il monologo della nutrice che mette in guardia
Fedra sull’onnipotenza di cui si sentono investiti i palazzi di potere, ci
suona tristemente familiare. E ha più di 2000 anni! La Regia di Mariano Anagni è
classica e rigorosa e ambienta la scena in una specie di ex reggia, fatta di
mobilia disordinata, vecchia e decadente, molto efficacemente illuminata nella
splendida location del Teatro Sala Uno, lasciato giustamente spoglio. La Compagnia
di questa Fedra è di primissimo livello: Marina Biondi è una Fedra vibrante e instabile, combattuta
tra la passione e la morale, con una padronanza attoriale esemplare e toccante.
Il giovanissimo Gabriele Anagni è un Ippolito risoluto e convincente, con
qualche acerbità tecnica che però bilancia con una forte prestazione fisica.
Molto coinvolgente è Marina Zanchi, una dolente Nutrice seriamente preoccupata
per il tragico susseguirsi degli eventi. Lavinia Cipriani è il commovente
messaggero che racconta a Teseo l’orribile fine del figlio, in un monologo
talmente evocativo da sembrare un film. Il coro, che dispensa il senso morale
dello spettacolo e del testo con le battute di maggiore modernità, è affidato a
Cristina Pelliccia e Erika Puddu (quest’ultima è l’unico anello un po’ debole,
ed è un peccato, perché la sua performance non è all’altezza di un ensamble di
così alta fattura). E poi c’è Patrizio Cigliano, che fa un Teseo strepitoso,
appoggiato ad una tecnica che padroneggia con consapevolezza e disinvoltura,
aggiungendovi quei toni di palpabile dolore che raccontano la devastazione di
un Padre che assassina – e per di più per un inganno! – suo figlio. La sua
interpretazione è esemplare: tragica ma moderna. Fisicamente vigorosa eppure
intima. Vocalmente ineccepibile, piena di sfumature e sottotesti che non ci
fanno distogliere gli occhi da lui anche quando non parla. C’è la grandezza del
Teatro classico, ma anche la confidenza del cinema. Non c’è quella retorica di
toni che certe parole ricercate potrebbero generare, c’è la comunicazione di un
pensiero, di un sentimento. C’è un attore che “parla” con il pubblico, e pur
dicendo cose “pesanti”, lo fa con una leggerezza che le fa passare in platea
con grande semplicità. C’è un attore di non consueto Talento, insomma. Un
attore che dovrebbe avere una carriera molto più riconoscibile. Una carriera che
a nostro avviso dovremmo vedere anche al cinema. Un attore che ogni volta che
leggiamo su una locandina abbiamo fiducia di andare a vedere, perché ogni volta
ha saputo sorprenderci e convincerci (il romanissimo Mandrake del recente
musical Febbre di Cavallo del Sistina ce lo ha fatto vedere comicissimo e
canterino come non potevamo immaginare). Sì: un attore di raro Talento, troppo
poco utilizzato, per il suo valore, e che per questo alimenta in noi il sempre
più grande Mistero del Talento in Italia.
Fedra, di Seneca
Regia di Mariano Anagni
con
Marina Biondi Fedra
Patrizio Cigliano Teseo
Marina Zanchi Nutrice
Gabriele Anagni Ippolito
Lavinia Cipriani Il Messaggero
Erika Puddu Corifea 1
Cristina Pelliccia Corifea 2
Scene e costumi Maria Spataro
Luci Giovanna Venzi
Al Teatro Sala Uno di Roma (S. Giovanni) fino al 29 ottobre 2017. Da
non perdere.