La musica e la dura legge dello skip
by Marco Testoni
Avete mai provato a far
ascoltare per intero un Cd ad un adolescente? Missione quasi impossibile perché
la sua tentazione di cliccare sul tasto skip sarà martellante ed ossessiva. I
nativi digitali interrompono l’ascolto o la visione di quello che stanno
fruendo se la loro attenzione non viene continuamente sollecitata da contenuti
interessanti, accattivanti e seducenti (nel campo dell’audiovideo Netflix ha addirittura introdotto
il tasto skip-intro per saltare le sigle delle serie tv). 30 anni fa l’operazione
sarebbe stata più faticosa perché ogni volta ti saresti dovuto alzare dalla
sedia e cambiare disco. Oggi è tutto molto più semplice perché il tasto skip è
sul nostro smartphone, sul palmo della nostra mano. Inoltre i file a
disposizione sono tantissimi e tutti gratuiti, una scelta infinita a costo
zero. L’ascoltatore contemporaneo vive quindi una condizione che predispone costantemente
al non approfondimento e che stravolge la percezione ed il proprio grado di
attenzione.
Hubert Léveillé Gauvin, un musicologo
dell’Ohio State University, ha condotto una ricerca sui cambiamenti dei
processi creativi applicati alla musica pop realizzati dagli anni ’80 ad oggi. Ecco
le principali variazioni avvenute: le introduzioni strumentali sono scomparse la
parte vocale occupa ormai la quasi totalità dei brani, il ritornello appare già
dalle prime battute, il Bpm è notevolmente aumentato perché un ritmo più veloce
cattura più facilmente l’ascolto ed infine i titoli delle hit sono sempre più
brevi per aiutarne la memorizzazione.
In breve la canzone assomiglia sempre di
più ad uno spot pubblicitario. Ma di quale prodotto? Léveillé Gauvin ipotizza
che, vista la gratuità dell’ascolto in streaming, il business musicale si sia
spostato altrove (concerti live, merchandising, diritti di sincronizzazione
etc...) e la pop song in sé è ormai divenuta solo uno spot del marchio
dell’artista. E come tale risponde principalmente agli stessi criteri estetici
e di marketing che regolano la produzione di un commercial. In questo senso non c’è nulla di anomalo perché la pop
music ha sempre dovuto sottostare alle regole del mercato, semmai le reali
novità sembrano essere altre: la musica registrata non ha più un valore
commerciale e la musica pop ha un valore solo se legata ad un evento live, un
servizio o un articolo. Insomma è più importante l’indotto che il prodotto.
La questione che però a me sembra
fondamentale è se questo tipo di percezione e fruizione musicale, che per ora
sembra confinato alla musica pop e all’home entertainment, non vada alla lunga
ad imporre non solo un modello di consumo ma un modo di pensare, creare,
ascoltare e vedere che svilisce il concetto stesso di arte. Un’attività
creativa che per sua natura ha bisogno di varietà espressiva e dinamica dove
l’economia dell’attenzione non può essere l’unica regola vigente ed essere attraenti
non può essere l’unico antidoto allo skip.
PS 1 Io stesso scrivendo
questo articolo avrei dovuto curarmi di condurre velocemente il lettore verso
quello che voglio comunicare e cioè: approfondite i vostri ascolti musicali!
PS 2 Ripensandoci, dopo il
centesimo passaggio radiofonico di Despacito, trovo che lo skip sia un tasto
fantastico!
Hubert Léveillé Gauvin
Has music streaming killed the instrumental intro?
https://news.osu.edu/news/2017/04/04/streaming-attention/
Has music streaming killed the instrumental intro?