Avevano scordato cosa fosse un
sorriso… e, soprattutto, a chi avessero potuto rivolgerlo, sempre chinati
com’erano con il viso rivolto allo schermo del loro smartphone. Che strana città quella che abitavano, che strano
mondo. Tutto era finalizzato alla pubblicazione di un post sul loro social network preferito: lo scatto
delle vacanze, la foto al piatto di pasta al ristorante, il selfie col cane, col gatto, col criceto
o con l’animale più strano che potessero avere a disposizione al momento (a
volte anche la zia), il tipo di carta igienica prescelto che finalmente
accarezzava soltanto le parti interessate. Un like in più avrebbe cambiato la loro giornata, così come un like in meno avrebbe potuto farla
miseramente naufragare. E’ così che quel popolo, soggiogato dal web, non staccava più lo sguardo da quel
piccolo schermo che seguiva ognuno di loro ovunque e dappertutto.
In metropolitana i libri erano
banditi e se, fino a qualche tempo prima, gli sguardi si sarebbero anche potuti
incrociare, ora ognuno rimaneva rigorosamente rinchiuso in un mondo irreale e
fittizio da cui veniva completamente assorbito. Tutti col dito a “scrollare” lo
schermo: il primo appuntamento la mattina appena svegli, l’ultimo appuntamento
la sera prima di addormentarsi… e, in mezzo, quelle otto, dieci, dodici ore
comunque assorbite dai social e dal web.
Anche la classe politica di quel
paese faceva leggi, emetteva sentenze, scriveva considerazioni, post, tweet on-line. Tutto era racchiuso in
una “condivisione” continua e costante. Tutti impararono in poco tempo a
“sentenziare”, a “pontificare”, a “vomitare giudizi” su qualsiasi argomento, ma
non è che quell’argomento poi li interessasse realmente; tutto era finalizzato
all’ esserci, a sentirsi protagonisti
apprezzati per aver detto questo o quello a qualsiasi riguardo. E fu così che
le cazzate pubblicate ormai non si contavano neanche più. Tutto e il contrario
di tutto in breve si sarebbero sovrapposti facendo perdere i confini del vero,
del falso o del presunto tale. Le bufale non erano più le femmine dei bufali
destinate a produrre con il loro latte le famose mozzarelle, no (!),
improvvisamente si erano ritrovate nuove protagoniste del web, anche loro.
L’imperativo categorico era uno e
uno soltanto: “condividere” al di là di tutto e di tutti, anche se e quando da
condividere non c’era proprio nulla. Nessuno più si guardava negli occhi,
nessuno più riusciva a capire se l’altro avesse bisogno realmente di lui o se
lui stesso avesse bisogno reale dell’altro. Tutti incentrati su se stessi e sul
“che cazzo posso pubblicare oggi per superare il mio standard di like(s)”. Già, perché le giornate di
quel popolo erano colorate soltanto dall’essere connessi o meno, senza
accorgersi, in fondo, che tutti avevano raggiunto uno stato soltanto: quello di
essere “soli-insieme” !
I sentimenti provati ormai erano
talmente pochi che si potevano contare sulle dita di una mano: angoscia (da like in decrescita), amarezza (perché un
post non aveva avuto l’attenzione che
invece meritava), sconforto (nel vedere che non c’erano commenti numericamente
sufficienti a gratificare il proprio sforzo), panico assoluto (in mancanza di
connessione). Tanto che ormai nessuno era più abituato a fare una passeggiata
con un amico, una cena sociale, una festa o un party senza la presenza ingombrante di quella vera e propria
appendice robotica che ognuno aveva come parte integrante di sé. E se qualcuno,
ad esempio ad una cena (ma anche ad una riunione di lavoro) avesse chiesto “stasera
spegniamo tutti il cellulare”, quel qualcuno sarebbe stato considerato pazzo, o
per lo meno strano e avrebbe gettato nel panico gli astanti con quella sua
insana richiesta, tanto che all’occasione successiva tutti, o quasi, avrebbero
declinato l’invito e lui sarebbe stato guardato, da quel momento, con sospetto.
La sensazione di vivere dentro una
vetrina! Era quella, proprio quella ad essere appagante per tutti. Apparire
sempre al meglio, sempre più fighi, sempre più trend. Senza considerare però che la vetrina di ciascuno era
protetta da un vetro, così che ognuno era separato dagli altri da due vetri
addirittura, il suo e quello dell’altro, due vetri blindati che difficilmente
si sarebbero potuti infrangere o violare.
Come si diceva prima, il segno peculiare
di quel popolo era la testa china, tanto che si poteva prevedere facilmente che
le generazioni successive sarebbe già nate così, con l’inclinazione del capo in
avanti verso il basso, come un inchino ossequioso e dovuto a un sovrano
dispotico che non permetteva più a nessuno di alzare gli occhi per guardare il
cielo.
La domanda adesso era una e una
soltanto: “Dove li avrebbe portati un tipo di società come quella dove il reale
era stato completamente soppiantato dal virtuale e dove, per sentirsi vivo e
apparentemente felice, ognuno doveva essere simile ad una star hollywoodiana?”
Riconoscere che c’era un problema
forse sarebbe già stato un buon inizio che avrebbe anche consentito di
dirottare quella nave verso altri lidi, verso porti diversi. Ma l’ebbrezza di
avere cinquemila amici, settemila/diecimila followers
avrebbe sicuramente continuato ad avere la meglio su tutto… cinquemila,
settemila, diecimila, grandi numeri e importanti… quando ormai anche in
famiglia, se qualcuno parlava con l’altro non otteneva risposta perché tutti
erano completamente assorti in quel mondo con cornice, mentre attorno a loro
continuava a muoversi ignorata la vita reale non incorniciata.
Sembrava dunque non esserci più
una via di uscita. I social erano
riusciti a creare un mondo completamente asociale. Erano i loro avatar (edulcorati nelle foto dei
profili) a parlare tra di loro, ma se i veri possessori di quelle immagini si
fossero incontrati casualmente per strada neanche si sarebbero salutati,
probabilmente anche perché non si sarebbero nemmeno riconosciuti tanto le loro foto
erano state modificate col programma di ritocco fotografico più in voga al
momento.
Dunque? Eh … dunque! Il finale è
consentito per quelle favole che iniziano col “c’era una volta”. In quelle
favole c’è la mediazione del tempo ed è quella che probabilmente fa sì che si
sappia come vanno a finire.
Per questa storia, al momento, un
finale non c’è e se anche ci fosse sarebbe soltanto un finale di fantasia,
meglio tralasciarlo allora. Per questa storia bisogna aspettare ancora qualche
anno, sicuramente meno di un decennio, per vedere dove e come quel popolo andrà
a finire…
… di una cosa comunque dubito
fortemente: del classico e vecchio finale “e vissero tutti felici e contenti!”